Interpretazione dell'ECG in 5 minuti

L’elettrocardiogramma è uno degli esami che vengono più spesso praticati nelle strutture sanitarie e consente di andare ad esplorare l’attività elettrica del cuore e le possibili anomalie correlate ad essa. Risulta, quindi, di fondamentale importanza saper leggere propriamente un ECG.

Per garantire un’interpretazione accurata e fedele dell’elettrocardiogramma è necessario un approccio sistematico. L’interpretazione dell’elettrocardiogramma non è un esercizio di riconoscimento morfologico. Al contrario, richiede che l’esaminatore adotti un atteggiamento mentale investigativo e si sforzi di capire perché l’elettrocardiogramma mostri una certa morfologia. Ciò richiede una comprensione completa della sequenza di conduzione cardiaca, dell’anatomia e della fisiologia del cuore.

Alterazioni anatomiche simili si manifestano sull’elettrocardiogramma di superficie in modo differente secondo la derivazione elettrocardiografica presa in esame. Per esempio, la derivazione precordiale V1 si trova prevalentemente sopra il ventricolo destro e spesso gli eventi elettrici cardiaci che interessano il ventricolo destro si osservano meglio in questa derivazione.

Al contrario, la derivazione precordiale V6 guarda il ventricolo sinistro e, come prevedibile, evidenzia meglio gli eventi elettrici cardiaci del ventricolo sinistro. Conoscere le correlazioni fra elettrocardiogramma e anatomia cardiaca è di aiuto nel pianificare una strategia interpretativa che riduca le probabilità di farsi sfuggire un segno importante. Inoltre spesso l’elettrocardiogramma può essere utile come primo indicatore di una patologia cardiaca occulta. L’interpretazione è fonte di gratificazione soprattutto quando l’interprete ne deduce uno stato patologico e avvisa il clinico del risultato.

Con l’esperienza certi segni elettrocardiografici possono essere identificati contemporaneamente, delineando nel loro insieme una diagnosi clinica che li riunisce. Di seguito si espone per sommi capi un approccio sistematico raccomandato per l’interpretazione dell’elettrocardiogramma.

Identificazione del ritmo cardiaco

Il primo passo nell’interpretazione dell’elettrocardiogramma è identificare l’attività atriale e definire il ritmo cardiaco. Se sono presenti onde P, è importante misurare con precisione l’intervallo fra una P e la successiva. Si determina così la frequenza della depolarizzazione atriale.

Dopo aver identificato la morfologia dominante dell’onda P, si determina l’asse dell’onda P sul piano frontale. Un asse sul piano frontale nella norma indica un’origine dello stimolo dal nodo del seno, che si manifesta con un vettore della P positivo nelle derivazioni I, II e aVF. Un asse della P anomalo depone per una origine ectopica, non sinusale, dell’onda P. I possibili ritmi atriali comprendono:

  • Ritmo sinusale normale: una sequenza regolare di depolarizzazioni atriali con origine dal nodo del seno a frequenza compresa fra 60 e 100 al minuto che presentano un vettore dell’onda P positivo nelle derivazioni I, II e aVF.
  • Bradicardia sinusale: una sequenza regolare di depolarizzazioni atriali con origine dal nodo del seno a frequenza inferiore a 60 al minuto che presentano un vettore dell’onda P positivo nelle derivazioni I, II e aVF.
  • Tachicardia sinusale: una sequenza regolare di depolarizzazioni atriali con origine dal nodo del seno a frequenza superiore a 100 al minuto che presentano un vettore dell’onda P positivo nelle derivazioni I, II e aVF.
  • Aritmia sinusale: un’onda P di morfologia e asse frontale normali e ad origine dal nodo del seno con una frequenza di depolarizzazione compresa fra 60 e 100 al minuto che presenta una variazione della lunghezza del ciclo P-P superiore a 160 msec.
  • Fibrillazione atriale: una sequenza rapida, irregolare e disorganizzata di depolarizzazioni atriali con frequenza di 400-700 al minuto senza onde P distinte. L’attivazione atriale è rappresentata da onde fibrillatorie. In assenza di blocco atrioventricolare la risposta ventricolare è del tutto irregolare. L’ampiezza delle onde fibrillatorie può variare fra i pazienti, giustificando una sottoclassificazione della fibrillazione atriale in grossolana o fine.
  • Flutter atriale: una sequenza rapida e regolare di depolarizzazioni atriali con frequenza di 250-350 al minuto ritenuta comunemente espressione di un circuito di rientro atriale. Le onde atriali sono denominate “onde F” e mostrano un aspetto a “denti di sega”, meglio osservabile nelle derivazioni V1, II, III e aVF. La frequenza ventricolare può essere regolare o irregolare secondo il rapporto di conduzione atrioventricolare.
  • Tachicardia atriale: una tachicardia automatica regolare originante da un singolo focus atriale ectopico che mostra un’onda P con asse sul piano frontale anomalo. La frequenza atriale tipica è fra 180 e 240 al minuto. La frequenza ventricolare può essere regolare o irregolare secondo il rapporto di conduzione atrioventricolare.
  • Segnapassi atriale “migrante” (wandering atrial pacemaker): la frequenza di depolarizzazione atriale è compresa fra 60 e 100 al minuto. L’intervallo fra un’onda P e la successiva è variabile rispecchiando la presenza di diversi foci di attivazione atriale. Perché questa diagnosi sia soddisfatta è necessaria la presenza di più di tre foci atriali e morfologie dell’onda P in un singolo elettrocardiogramma a 12 derivazioni.
  • Tachicardia atriale multifocale: un ritmo cardiaco tachicardico con una frequenza delle depolarizzazioni atriali superiore a 100 al minuto, in cui tutti i complessi QRS sono preceduti da un’onda P. Onde P di almeno tre diverse morfologie devono essere presenti in un singolo elettrocardiogramma a 12 derivazioni perché siano soddisfatti i criteri diagnostici. Gli intervalli PR sono variabili e la risposta ventricolare è completamente irregolare per l’imprevedibile timing della depolarizzazione atriale. Spesso si osservano complessi atriali non condotti durante il periodo di refrattarietà assoluta del ventricolo.
  • Ritmo atriale ectopico: una sequenza regolare di depolarizzazioni atriali di origine non sinusale con frequenza compresa fra 60 e 100 al minuto. L’asse della P sul piano frontale è anomalo stante l’origine non sinusale del singolo focus atriale.
  • Bradicardia atriale ectopica: una sequenza regolare di depolarizzazioni atriali di origine non sinusale con frequenza inferiore a 60 al minuto. L’asse della P sul piano frontale è anomalo stante l’origine non sinusale del singolo focus atriale.
  • Ritmo da rientro nel nodo del seno: un circuito di rientro che coinvolge il nodo del seno e i tessuti circostanti. La morfologia delle onde P e l’asse sul piano frontale sono normali stante l’origine dal nodo del seno. La depolarizzazione atriale è regolare con un frequenza compresa fra 60 e 100 al minuto. Questa aritmia è caratterizzata da un esordio e interruzione bruschi.
  • Tachicardia da rientro nel nodo del seno: un circuito di rientro che coinvolge il nodo del seno e i tessuti circostanti. La morfologia delle onde P e l’asse sul piano frontale sono normali stante l’origine dal nodo del seno. La depolarizzazione atriale è regolare con un frequenza superiore a 100 al minuto. Questa aritmia è caratterizzata da esordio e interruzione bruschi.
  • Tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare: questa aritmia è legata alla presenza di due vie separate a livello del nodo atrioventricolare con conduzione rallentata in una via e blocco di conduzione unidirezionale nell’altra. I criteri elettrocardiografici comprendono una frequenza ventricolare fra 140 e 200 al minuto e un ritmo regolare con esordio e interruzione bruschi. L’aritmia è spesso innescata da un complesso atriale prematuro. Onde P invertite possono essere iscritte prima del complesso QRS, dentro il complesso QRS o dopo il complesso QRS nel segmento ST. Il QRS può essere condotto normalmente o con aberranza.
  • Tachicardia sopraventricolare: termine complessivo che abbraccia aritmie tachicardiche regolari che originano dagli atri o dalla giunzione atrioventricolare. Questo termine è utilizzato al meglio in presenza di una tachicardia ritmica a complessi stretti in cui l’attività atriale non sia facilmente identificabile e non sia possibile determinare l’esatta natura dell’aritmia sopraventricolare con l’elettrocardiogramma a 12 derivazioni.

Esistono tipi diversi di ritmo atrioventricolare che comprendono:

  1. Ritmo giunzionale: questa aritmia può verificarsi in caso di intossicazione digitalica con soppressione dell’attività sinusale e blocco in uscita dal nodo del seno. Un segnapassi sussidiario quale il nodo atrioventricolare assume il ruolo di segnapassi principale a una frequenza ritmica di circa 60 al minuto.
  2. Bradicardia giunzionale: questa aritmia origina nel nodo atrioventricolare e rappresenta un ritmo cardiaco regolare che nasce da un segnapassi sussidiario a una frequenza inferiore a 60 al minuto. Possono essere presenti onde P retrograde, espressione dell’attivazione atriale, situate prima, entro o dopo i complessi QRS.
  3. Tachicardia giunzionale: la frequenza ventricolare è regolare e tipicamente compresa fra 120 e 200 al minuto. Il nodo atrioventricolare assume la funzione di segnapassi cardiaco principale. Onde P retrograde possono precedere, sovrapporsi o seguire i complessi QRS in base alla sede di origine della tachicardia giunzionale.
  4. Ritmo giunzionale accelerato: ritmo regolare a una frequenza compresa fra 60 e 100 al minuto. Il nodo atrioventricolare assume la funzione di segnapassi cardiaco. Onde P retrograde possono precedere, sovrapporsi o seguire i complessi QRS in base alla sede di origine del ritmo giunzionale.
  5. Ritmo di scappamento giunzionale: questa aritmia si verifica comunemente in caso di intossicazione digitalica con soppressione dell’attività sinusale e blocco in uscita dal nodo del seno. Per la depressione del nodo del seno assume il ruolo di segnapassi principale un segnapassi sussidiario quale il nodo atrioventricolare a una frequenza compresa fra 40 e 60 al minuto.

In ogni elettrocardiogramma si dovrebbe ricercare la presenza di un ritmo ventricolare indipendente. Le possibili turbe del ritmo ventricolare comprendono:

  • Tachicardia ventricolare: ritmo ventricolare protratto di origine ventricolare con una frequenza di 140-240 al minuto. Caratteristiche comuni comprendono QRS allargato, deviazione assiale sinistra sul piano frontale del QRS, concordanza del QRS nelle derivazioni precordiali, dissociazione atrioventricolare, presenza di battiti di cattura e di battiti di fusione.
  • Tachicardia ventricolare polimorfa (Torsione di punta): forma parossistica di tachicardia ventricolare con intervallo R-R non costante, frequenza ventricolare di circa 225-250 al minuto, alternanza di polarità dei complessi QRS, allungamento dell’intervallo QT all’esordio dell’aritmia e modificazioni dell’ampiezza dei QRS che spesso assumono un aspetto sinusoidale.
  • Fibrillazione ventricolare: ritmo cardiaco terminale con attività ventricolare caotica in assenza di depolarizzazione ventricolare organizzata.
  • Parasistolia ventricolare: ritmo ventricolare indipendente con sequenza di scarica e depolarizzazione regolari. E’ caratterizzata da intervalli di accoppiamento variabili, un intervallo R- R costante fra i complessi ectopici e da presenza di battiti di fusione quando il focus parasistolico scarica simultaneamente alla depolarizzazione ventricolare nativa.
  • Ritmo idioventricolare: ritmo regolare con una frequenza ventricolare inferiore a 60 al minuto. Sono presenti complessi QRS allargati solitamente con dissociazione fra i complessi ventricolari e l’attività atriale. Questo disturbo del ritmo si osserva spesso in alterazioni di grado avanzato della conduzione atrioventricolare in cui il ventricolo si comporta come segnapassi sussidiario di un ritmo di sfuggita.
  • Ritmo idioventricolare accelerato: ritmo regolare a frequenza di 60-100 al minuto. Sono presenti complessi QRS allargati solitamente con dissociazione fra i complessi ventricolari e l’attività atriale. Questo disturbo del ritmo si osserva spesso in alterazioni di grado avanzato della conduzione atrioventricolare in cui il ventricolo si comporta come segnapassi sussidiario di un ritmo di scappamento.

Intervalli elettrocardiografici

Intervallo PR: identificare precocemente e stabilire in modo accurato l’intervallo PR è importante. Un intervallo PR costante di durata normale (120-200 msec) indica una conduzione intra-atriale, conduzione nel nodo atrioventricolare e associazione atrioventricolare normali. Un intervallo PR variabile depone per la possibile presenza di dissociazione atrioventricolare e di vari tipi di blocco cardiaco, fenomeni che richiedono ulteriori analisi approfondite. Un intervallo PR ridotto può essere espressione di una conduzione intra-atriale e atrioventricolare facilitata o di preeccitazione ventricolare. Un allungamento di PR riflette una conduzione intra-atriale e/o atrioventricolare rallentata.

Intervallo R-R: il calcolo esatto dell’intervallo fra un’onda R e la successiva determina la frequenza di depolarizzazione ventricolare. In presenza di una conduzione atrioventricolare normale, la frequenza ventricolare è uguale a quella atriale. Se è presente un disturbo di conduzione atrioventricolare occorre determinare il rapporto di conduzione atrioventricolare (numero di onde P per ogni complesso QRS).

In caso di dissociazione atrioventricolare o di blocco cardiaco completo coesistono due ritmi cardiaci indipendenti che originano da foci cardiaci distinti, ognuno dei quali deve essere oggetto di interpretazione. I principali disturbi di conduzione atrioventricolare comprendono:

  1. Blocco atrioventricolare di secondo grado tipo Mobitz I (Wenckebach): si tratta di un blocco di conduzione atrioventricolare situato all’interno del nodo atrioventricolare a monte del fascio di His. Un progressivo allungamento dell’intervallo PR diventa evidente con la comparsa di un’onda P e un complesso QRS non condotto che rappresenta la fine del ciclo di conduzione. Un aspetto comune è la presenza di gruppi di complessi QRS. Spesso sono presenti differenti rapporti di conduzione atrioventricolare. Comune è il rapporto di conduzione 4:3.
  2. Blocco di conduzione atrioventricolare di secondo grado tipo Mobitz II: questo disturbo di conduzione si verifica a livello del nodo atrioventricolare al disotto del fascio di His. Questa categoria di pazienti necessita del posizionamento di un pacemaker a meno che il disturbo di conduzione sia prontamente reversibile. Comune è il rapporto di conduzione 2:1. Questa aritmia si caratterizza per l’assenza di un progressivo allungamento dell’intervallo PR con improvvisa comparsa di un complesso QRS non condotto. Questa categoria di pazienti va facilmente incontro a progressione verso forme più avanzate di blocco atrioventricolare.
  3. Blocco atrioventricolare avanzato: è noto anche come blocco atrioventricolare di alto grado e si verifica quando il rapporto di conduzione è uguale o superiore a 3:1 in presenza di un ritmo atriale non tachicardico. A meno che il blocco non sia rapidamente reversibile è raccomandabile l’impianto di un pacemaker permanente.
  4. Blocco cardiaco completo: nel blocco cardiaco completo o di terzo grado non è presente una conduzione atrioventricolare. Pertanto gli atri e i ventricoli hanno ritmi indipendenti.
    Il ritmo ventricolare è regolare e rappresenta un ritmo di scappamento con frequenza fra 20 e 60 al
    minuto. I complessi QRS possono essere di durata normale a indicare la presenza di un ritmo di scappamento della giunzione atrioventricolare oppure prolungata in presenza di un ritmo di scappamento ventricolare.
  5. Conduzione atrioventricolare variabile: questo fenomeno si verifica più comunemente durante flutter atriale e tachicardia atriale a una frequenza atriale superiore a 130 al minuto. A frequenze atriali elevate si verifica un blocco di conduzione fisiologico a livello del nodo atrioventricolare di entità variabile e non prevedibile. Il nodo atrioventricolare funziona come “guardiano” per prevenire frequenze ventricolari elevate e potenzialmente instabili.

Intervallo del complesso QRS: la durata del complesso QRS può essere misurata in modo ottimale nelle derivazioni degli arti dall’inizio dell’onda R (dall’inizio dell’onda Q se presente) alla fine dell’onda S. L’intervallo del QRS normalmente misura meno di 100 msec.

Se la durata è superiore a 100 msec ma inferiore a 120 msec il ritardo di conduzione del complesso QRS è meglio classificato come non specifico. Se la durata del QRS supera 120 msec ma senza una morfologia specifica è di nuovo meglio classificabile come ritardo aspecifico della conduzione intraventricolare. Se è superiore a 120 msec è importante valutare attentamente la morfologia del complesso QRS in quanto potrebbe essere presente un blocco completo di branca sinistro o destro.

Il blocco completo di branca sinistro presenta una durata del QRS superiore a 120 msec, assenza di un’onda q (depolarizzazione settale) nelle derivazioni I e V5-6, un complesso QRS positivo nelle derivazioni I, V5-6 e sottoslivellamento del segmento ST con inversione dell’onda T nelle derivazioni I e V5-6. Il blocco completo di branca destro presenta una durata del QRS maggiore di 120 msec, onde S allargate con rallentamento della componente terminale nelle derivazioni I,V5-6, un QRS allargato con morfologia RSR nelle derivazioni V1-2 e sottoslivellamento del segmento ST con inversione dell’onda T nelle derivazioni V1-2.

Intervallo QT: a differenza degli altri intervalli cardiaci, l’intervallo QT mostra interdipendenza con la frequenza cardiaca. La durata dell’intervallo QT è inversamente proporzionale alla lunghezza del ciclo R-R. L’intervallo QTc rappresenta l’intervallo QT diviso per la radice quadrata dell’intervallo R-R. Questa operazione corregge l’intervallo QT per la frequenza cardiaca e rende standard questa misurazione. Si tratta di una misurazione manuale complicata e di un calcolo da eseguire su ogni elettrocardiogramma. Attualmente gli apparecchi elettrocardiografici forniscono una stampata riassuntiva di tutti gli intervalli compreso il QTc.

Questi valori rappresentano un utile riferimento, ma non sono scevri da limiti e potenziali errori. Si invita il lettore a verificare in ogni tracciato l’accuratezza delle misure generate dal computer. Per quanto riguarda l’intervallo QT, un approccio abbastanza accurato ma rapido consiste nel valutare rispettivamente questo intervallo nella II derivazione degli arti. Se l’intervallo QT è inferiore al 50% dell’intervallo fra l’onda R e la successiva, non è probabilmente presente un suo allungamento. Se l’intervallo QT è superiore al 50% dell’intervallo fra l’onda R e la successiva è verosimilmente presente un allungamento che può essere confermato più accuratamente con una misurazione manuale da parte dell’esaminatore.

Le cause di allungamento dell’intervallo QT comprendono:

1. Sindrome del QT lungo idiopatico;
2. Affezioni del sistema nervoso centrale;
3. Ipocalcemia;
4. Farmaci antiaritmici cardiaci;
5. Psicofarmaci;
6. Ipotiroidismo.

La presenza di un intervallo QT breve, che può essere manifestazione di una sottostante alterazione del quadro elettrolitico, è messa meglio in evidenza da una attenta valutazione dell’intervallo e dalla ispezione visiva. Spesso è inizialmente suggerita da un aspetto tronco del segmento ST. Si tratta di un segno elettrocardiografico spesso misconosciuto che conferma la necessità di un approccio all’interpretazione logico e attento.

Morfologie dell’elettrocardiogramma

Dopo aver valutato la frequenza cardiaca, il ritmo, gli intervalli e l’asse del QRS sul piano frontale è corretto procedere all’identificazione delle specifiche morfologie elettrocardiografiche. L’approccio di analizzare prima l’onda P, poi il complesso QRS e da ultimo il tratto ST-T è sia sistematico che logico.

Onda P: oltre all’identificazione dell’onda P e alla determinazione dell’asse della P sul piano frontale, aspetti morfologici specifici dell’onda P suggeriscono una sottostante patologia cardiaca strutturale e del sistema di conduzione. La morfologia dell’onda P è valutata meglio nelle derivazioni V1 e II. Segni importanti in queste derivazioni comprendono alterazioni dell’atrio sinistro e alterazioni dell’atrio destro. I segni elettrocardiografici di alterazioni dell’atrio sinistro comprendono un’onda P con profonda negatività terminale o aspetto bifasico nella derivazione V1.

Questo fenomeno riflette un ritardo nella depolarizzazione dell’atrio sinistro che si manifesta con un vettore terminale dell’onda P negativo dato che la depolarizzazione dell’atrio sinistro procede in direzione opposta a V1. Nella derivazione II la durata dell’onda P supera i 110 msec con un vettore positivo bifido. La seconda, o terminale, componente di questo vettore positivo dell’onda P rappresenta la depolarizzazione ritardata dell’atrio sinistro. Il segno elettrocardiografico di alterazione dell’atrio destro consiste in un’onda P di ampiezza pari o superiore a 2,5 mm. nella derivazione II. Data la direzione anteriore del vettore dell’onda P in presenza di alterazione dell’atrio destro, spesso si osserva un’onda P alta, di 1,5 mm o più, in V1.

Nell’elettrocardiogramma di superficie non è possibile distinguere se un’alterazione atriale rappresenti una dilatazione della camera e/o un ritardo di conduzione. Il termine meno specifico, alterazione, è quindi quello più appropriato.

Complesso QRS: la valutazione della morfologia del complesso QRS rappresenta un singolo passo importante. E’ meglio procedere con un’iniziale attenta valutazione della presenza o assenza di onde Q. Le onde Q di durata significativa dal punto di vista diagnostico indicano nella maggior parte dei casi un sottostante infarto miocardico. Nelle derivazioni inferiori e laterali, onde Q di durata pari o superiore a 40 msec rappresentano un infarto miocardico.

Nelle derivazioni V2-4, un’onda Q di durata diagnostica è pari o superiore a 25 msec. In presenza di un infarto miocardico, le onde Q sono molto comunemente raggruppate all’interno di “regioni” che rispecchiano una specifica distribuzione delle arterie coronariche. Quando si identifica un’onda Q, è utile valutare derivazioni contigue integrando una conoscenza operativa dell’anatomia coronarica. Per esempio, in presenza di un infarto miocardico inferiore è saggio valutare attentamente la presenza di un infarto miocardico posteriore, laterale e del ventricolo destro. Alternativamente, quando si osserva un infarto miocardico anteriore, si può osservare un coinvolgimento laterale e apicale.

Le onde Q possono anche rappresentare un pattern pseudo-infartuale che non riflette un vero infarto miocardico. Questo fenomeno si osserva molto comunemente in presenza della sindrome di Wolff- Parkinson-White. Le onde Q pseudo-infartuali riflettono invece la preeccitazione ventricolare. Le onde delta posseggono un vettore negativo che indica una conduzione ventricolare in direzione opposta alla derivazione elettrocardiografica. Ciò si osserva molto spesso nelle derivazioni inferiori, laterali e laterali alte. Un’ampia onda R isolata in V1 dovrebbe essere interpretata con cautela.

Non è frequente porre diagnosi di vero infarto miocardico posteriore isolato. Si dovrebbero considerare attentamente altre possibili cause quali la preeccitazione ventricolare, la rotazione cardiaca in senso orario, l’ipertrofia del ventricolo destro e il ritardo di conduzione nel ventricolo destro. La deviazione assiale destra del QRS sul piano frontale e il blocco del fascicolo posteriore sinistro sono altre cause di aspetto pseudo-infartuale. In questi esempi, le onde Q pseudo-infartuali sono situate a livello inferiore.

Segmento ST: il segmento ST è il tratto compreso fra la componente terminale del complesso QRS (conosciuta anche come punto J) e l’inizio dell’onda T. Come parte di una interpretazione completa dell’elettrocardiogramma, si deve valutare l’eventuale deviazione di ogni segmento ST rispetto alla linea di base dell’elettrocardiogramma. Il segmento isoelettrico di riferimento sull’elettrocardiogramma è il tratto TP.

Si tratta del segmento compreso fra la parte terminale dell’onda T e l’inizio dell’onda P. Molto spesso la deviazione del segmento ST è meglio definita aspecifica in quanto la causa precisa non è identificabile sulla base del solo elettrocardiogramma, richiedendo invece una storia clinica completa e l’elenco dei farmaci assunti.

Le cause di sopraslivellamento del segmento ST comprendono le seguenti:

  1. Danno miocardico acuto: sopraslivellamento alto convesso (a cupola) del segmento ST confinato ad almeno due derivazioni elettrocardiografiche contigue.
  2. Pericardite: sopraslivellamento alto concavo diffuso di ST non confinato a derivazioni elettrocardiografiche contigue.
  3. Aneurisma del ventricolo sinistro: sopraslivellamento alto convesso (a cupola) del segmento ST prospiciente la zona infartuale, osservato più comunemente nelle derivazioni precordiali destre, che persiste per mesi o anni.

Le cause di sottoslivellamento del segmento ST comprendono le seguenti:

  1. Ischemia miocardica: per lo più sottoslivellamento del segmento ST indotto dallo sforzo quale quello osservabile in un test provocativo. Il sottoslivellamento di ST spesso rispecchia la presenza di coronaropatia e di ischemia miocardica. L’aspetto orizzontale e/o discendente del sottoslivellamento comporta una maggior specificità.
  2. Infarto miocardico “non-Q”: sottoslivellamento orizzontale e/o discendente di S accompagnato da segni clinici e di laboratorio di danno miocardico acuto.
  3. Cardiomiopatia: alterazioni del segmento ST comprendenti il sottoslivellamento si osservano spesso nelle forme di cardiomiopatia sia dilatativa che ipertrofica.
  4. Ipertrofia ventricolare: un sottoslivellamento discendente di ST è spesso presente nell’ipertrofia ventricolare sia sinistra che destra.
  5. Tachiaritmie sopraventricolari: un sottoslivellamento parossistico di ST è spesso osservabile a frequenza cardiaca elevata nel corso di tachiaritmie sopraventricolari. Questa alterazione può persistere dopo l’interruzione dell’aritmia. Può essere o non essere indicativa di una coesistente ischemia miocardica, la cui presenza spesso richiede ulteriori test di conferma.

Onda T: l’onda T inizia al termine del segmento ST e finisce all’inizio del tratto TP. Spesso è difficile identificare l’esatto punto di inizio e di fine dell’onda T. Alterazioni dell’onda T si osservano in molte condizioni cliniche e non rappresentano un reperto specifico. Alterazioni dell’onda T sono osservabili nelle seguenti circostanze:

  1. Cardiomiopatie;
  2. Ipertrofia ventricolare;
  3. Alterazioni elettrolitiche;
  4. Valvulopatie;
  5. Coronaropatia;
  6. Affezioni acute del sistema nervoso centrale;
  7. Sindrome di Wolff-Parkinson-White;
  8. Blocco di branca;
  9. Pericardite;
  10. Terapia farmacologica;
  11. Iperventilazione;
  12. Modificazioni posturali.

Onda U: l’onda U è presente in modo incostante nell’elettrocardiogramma. Quando osservabile inizia al termine dell’onda T e finisce all’interno del tratto TP. Spesso è presente una fusione delle onde T e U e quindi non è possibile misurare separatamente la durata della T e della U. Le onde U possono essere sia positive che negative. L’ampiezza dell’onda U di solito non supera il 25% dell’ampiezza della T. Si osserva meglio nelle derivazioni V2-3.

Per interpretare con successo gli elettrocardiogrammi, è essenziale un approccio cauto, logico e riproducibile. Attraverso la pratica continuativa l’esaminatore dimostrerà migliorate competenze interpretative e maggior sicurezza che porteranno a una maggior accuratezza diagnostica. Quello che un tempo era un elettrocardiogramma complicato e fonte di timori rappresenterà ora un tracciato di routine facilmente interpretabile. 
 
Fonte: AreaNursing