Le donne colpite da carcinoma dell’ovaio che devono affrontare un trattamento chemioterapico subito dopo la diagnosi, devono svolgere un test genetico per valutare la presenza di mutazioni del gene BRCA. L’esame deve essere prescritto solo ed esclusivamente da un oncologo, genetista o dal ginecologo con specifiche competenze. Sono queste le principali raccomandazioni contenute in un documento sull’uso dei test genetico BRCA nella cura del carcinoma ovarico stilato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) insieme alla Società Italiana di Genetica Umana (SIGU), Società Italiana di Biochimica e Biologia Molecolare Clinica (SIBIOC) e la Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia diagnostica (SIAPEC-IAP).
«Quello dell’ovaio rappresenta il 3 per cento di tutti i tumori femminili e lo scorso anno ha colpito 4.900 italiane – afferma Carmine Pinto presidente nazionale AIOM -. Otto diagnosi su 10 arrivano quando il cancro è ormai in fase avanzata e, in questi casi, la sopravvivenza a 5 anni delle pazienti è solo del 35 per cento. I test genetici rappresentano un’arma in più a nostra disposizione per sconfiggere la malattia. Attraverso un semplice prelievo di sangue è possibile sapere se una donna è predisposta ad ammalarsi di cancro e se risponderà positivamente o meno ad alcuni farmaci. L’esame deve però essere svolto seguendo specifici criteri stabiliti dai vari specialisti. Con questo nostro documento vogliamo favorire l’implementazione del test BRCA nei percorsi assistenziali e terapeutici delle donne colpite dalla neoplasia». I risultati di questo esame, indicato per le donne con particolare tipo di cancro ovarico forniscono informazioni sia per la scelta terapeutica che per individuare un rischio nei familiari di sviluppare un altro tumore. Stando alle recenti raccomandazioni, per un’adeguata esecuzione del test è necessaria per i laboratori una comprovata validazione e un controllo di qualità esterno del test proposto. Questi percorsi devono sempre prevedere per il rischio familiare la disponibilità di un counselling genetico. «Una paziente con mutazioni del gene BRCA – prosegue Pinto – può essere curata con una particolare categoria di farmaci, i PARP inibitori, il primo dei quali l’olaparib è stato recentemente registrato dall’Agenzia Regolatoria Europea (EMA) come terapia di mantenimento nelle pazienti con recidiva platino-sensibile di carcinoma ovarico epiteliale sieroso di alto grado, di carcinoma delle tube di Fallopio e di carcinoma primitivo del peritoneo. In questo modo è possibile personalizzare la terapia e garantire una maggiore efficacia del trattamento». L’esame influisce sulla decisione del tipo di terapia e quindi deve essere facilmente accessibile per tutte le donne e i risultati disponibili in tempi compatibili con le necessità cliniche. Insomma sembra che si sia arrivati ad un punto di svolta, non solo per questo tipo di tumore e per la prevenzione e cura ma anche per gli altri. La scienza sta facendo dei passi avanti davvero notevoli e si spera che tutto questo possa andare a favore di chi ne ha realmente bisogno!