La deglutizione fisiologica viene generalmente schematizzata in 4 fasi, ognuna con caratteristiche proprie e con particolari funzioni:
1. la preparazione orale;
2. lo stadio orale;
3. lo stadio faringeo;
4. lo stadio esofageo.
Il non corretto funzionamento di uno di questi meccanismi può determinare una disfagia, cioè un’alterazione della deglutizione. Nella maggior parte dei casi la disfagia cronica è provocata da disturbi neurologici come morbo di Parkinson, malattia del motoneurone, disturbi neuromuscolari, sclerosi multipla e morbo di Alzheimer. Altre cause di disfagia cronica si possono trovare in questo tipo di affezioni:

  • anomalie strutturali come tumori di testa e collo, ingrossamento della tiroide, stenosi benigne;
  • infezioni da HIV, candida o herpes;
  • cause iatrogene, come per esempio la perforazione dell’esofago durante l’intubazione;
  • malattia da reflusso gastro-esofageo (GERD), in seguito alla quale l’acido gastrico irrita e danneggia la mucosa dell’esofago;
  • avvelenamento e/o ustioni provocati, per esempio, dall’ingestione di prodotti domestici per la pulizia.

La valutazione clinica per rilevare una disfagia comprende 3 componenti che devono essere attentamente analizzate dalla figura infermieristica per effettuare e pianificare la diagnosi e gli interventi:

  1. anamnesi generale e specifica;
  2. osservazione del paziente;
  3. esame clinico della deglutizione.

L’anamnesi deve includere informazioni sui sintomi (perdita di appetito, perdita di peso, fastidio alla gola o al torace nella deglutizione della saliva), durata e gravità dei sintomi, presenza di sensazione di soffocamento e presenza di infezioni toraciche ricorrenti. Per il controllo di tutti questi fattori ci si può avvalere di test o scale di valutazione o di screening. Tra i più noti c’è il test del bolo d’acqua di cui è raccomandato l’utilizzo per valutare il rischio di aspirazione tracheobronchiale in tutti i pazienti con ictus. Un altro test semplice e sufficientemente accurato è il Bedside Swallowing Assessment. Il test del bolo d’acqua consiste nel bere un certo volume di acqua mentre l’esaminatore valuta la comparsa di senso di soffocamento o altri sintomi come tosse e sforzo nel deglutire. Il Bedside Swallowing Assessment consiste nella valutazione di alcuni parametri (livello di coscienza, controllo della testa e del tronco, respirazione) e l’osservazione del paziente durante l’ingestione di un cucchiaino d’acqua.
L’esame diagnostico strumentale di elezione è la videofluoroscopia, utile sia nella fase di valutazione del grado di disfagia, sia nella fase di follow-up per monitorare la progressione del disturbo. Inoltre la possibilità di eseguire lo studio con differenti tipi di bolo e con diversi atteggiamenti posturali permette di individuare gli espedienti in grado di migliorare la capacità deglutitoria.
Le possibili complicanze della disfagia,oltre alla malnutrizione, sono:

  • l’aspirazione di materiale estraneo, con conseguente broncopneumopatia ab ingestis;
  • la disidratazione;
  • l’emoconcentrazione, seguente alla disidratazione, con effetti secondari negativi sulla perfusione cerebrale e sulla funzione renale.

In relazione alla determinazione del grado di disfagia, la terapia nutrizionale deve porsi alcuni obiettivi principali:
– prevenire l’aspirazione e favorire una deglutizione sicura;
– mantenere o recuperare un adeguato stato nutrizionale.
Per prevenire l’aspirazione e favorire una deglutizione sicura sono raccomandate alcune procedure da mettere in atto per evitare l’incorrere di complicazioni. Queste procedure e posture sono:

  • far mangiare il soggetto seduto a 90°, con il busto eretto e un comodo appoggio degli avambracci;
  • posizionare il capo o il collo, in base alla fase della deglutizione deficitaria, in diverse posizioni per facilitare o proteggere la discesa del bolo;
  • ricorrere al decubito dorsale nei casi di ridotta peristalsi faringea.

Il trattamento dietetico della disfagia prevede l’uso di alimenti e bevande a densità modificata, somministrati secondo quattro livelli progressivi:
1. dieta purea;
2. dieta tritata;
3. dieta morbida;
4. dieta normale modificata.
La supplementazione con integratori dietetici è indicata nei casi in cui l’assunzione alimentare è inadeguata e non adatta a coprire il fabbisogno del soggetto.
 
 
Fonte: IPASVI