Un nuovo studio mette in evidenza come le manovre rianimatorie siano efficaci entro un tempo limite di 35 minuti, La regola è sempre la stessa: prima si interviene e meglio è! Se dopo 35 minuti di manovre rianimatorie un paziente con arresto cardiaco non si riprende, si può dire che il soccorritore ha fatto tutto quello che poteva fare. E continuare il massaggio non aumenterebbe le chances di successo. Lo dimostra uno studio giapponese presentato a Londra, in occasione del congresso annuale della European Society of Cardiology (Esc). «Decidere quando interrompere un intervento di rianimazione cardiopolmonare, ha precisato Yoshikazu Goto dell’University Hospital di Kanazawa (Giappone), è un motivo di discussione fra i rianimatori e non è ancora chiaro quanto debbano durare le manovre». Ecco perché il ricercatore ha pensato di condurre uno studio con l’obiettivo di valutare quale fosse la durata ideale dell’intervento rianimatorio, per ottenere la più alta percentuale di sopravvivenza e il minore numero di danni neurologici a distanza. Lo studio ha coinvolto oltre 17 mila pazienti che sono stati sottoposti a queste procedure, praticate dal personale dei servizi di emergenza o da medici al di fuori da ambienti ospedalieri, e ha analizzato la relazione fra la durata della rianimazione (fino al momento in cui la circolazione è ripresa spontaneamente) e due situazioni: la sopravvivenza del paziente dopo un mese e i danni neurologici, presenti sempre dopo un mese. Primo risultato: per chi è sottoposto a massaggio cardiaco la probabilità di sopravvivenza si riduce di minuto in minuto. Cioè prima si riprende meglio è (ma questo è abbastanza ovvio).
«È per questo che occorre cominciare il più presto possibile». Secondo risultato: la maggior parte delle persone sono sopravvissute e hanno avuto danni neurologici limitati quando l’intervento è durato al massimo 35 minuti. Oltre questo periodo di tempo, lo studio specifica dai 53 minuti in avanti, non si aggiungono altri benefici.