La ritenzione urinaria, che può essere acuta o cronica, è una condizione che si caratterizza come sintomo aspecifico o come complicanza di patologie urogenitali o neurologiche. La ritenzione acuta d’urina è caratterizzata da dolore intenso e dalla distensione della vescica rilevabile alla palpazione. La ritenzione urinaria cronica solitamente provoca pochi disturbi perché è un processo graduale. Nella maggior parte dei casi, il ristagno vescicale è il parametro che determina la diagnosi di ritenzione urinaria: se il ristagno è compreso fra 500 e 800 ml e non c’è una storia pregressa di ritenzione urinaria allora si parla di ritenzione acuta. Se si osserva ripetutamente un ristagno pari o superiore a 500 ml di urina si parla di ritenzione cronica. E’ in questi casi che il ruolo dell’infermiere è davvero importante. Ma passiamo a vedere prima i diversi tipi e le cause! Le cause della ritenzione urinaria sono molteplici e possono essere classificate come ostruttive, infettive, infiammatorie, farmacologiche, neurologiche. La causa più frequente nell’uomo è l’ipertrofia prostatica benigna: secondo uno studio americano tra il 25 e il 30% degli uomini che hanno subito un intervento chirurgico per ipertrofia prostatica benigna ha avuto un episodio di ritenzione urinaria acuta. Nella donna le cause principali di ritenzione urinaria sono il prolasso vaginale, le complicanze di interventi di ricostruzione del pavimento pelvico e gli interventi per l’incontinenza urinaria da stress.
Nell’immediato post operatorio la ritenzione acuta può essere causata:
- da una carenza di liquidi infusi durante e dopo l’intervento;
- dall’impossibilità del soggetto di andare in bagno e dalla difficoltà nell’utilizzare il pappagallo o la padella;
- dai farmaci anestetici che possono rallentare la filtrazione glomerulare e provocare una contrazione della diuresi.
La ritenzione urinaria si diagnostica prevalentemente con l’esame obiettivo e con la valutazione del residuo vescicale. Il soggetto con ritenzione acuta ha di solito un intenso desiderio di urinare e un dolore pressorio sovrapubico. Alcuni soggetti riferiscono disfunzioni (nicturia, flusso urinario debole, perdite post svuotamento, iscuria paradossa) che peggiorano gradualmente dopo giorni o settimane, mentre altri avvertono una perdita improvvisa della capacità di urinare senza sintomi associati. Il segno oggettivo di ritenzione è la variazione del residuo post minzionale o la presenza di distensione vescicale (globo) palpabile. Il residuo post minzionale può essere valutato o con l’uso del catetere o con una ultrasuonografia. Quest’ultima è da preferire perché non invasiva. Non c’è accordo in letteratura su quale sia il volume residuo da considerare significativo: il range varia da 50 a 300 ml. Per il trattamento della ritenzione acuta di urina le linee guida raccomandano il cateterismo immediato. La scelta del tipo di catetere va fatta in base alle caratteristiche anatomiche del soggetto, all’eventuale allergia al lattice e alla previsione della durata (breve, medio o lungo termine). L’iniezione di lidocaina al 2% gel, inserita nell’uretra prima dell’inserimento del catetere, è raccomandata perché:
- agisce come anestestetico locale;
- favorisce il rilassamento dei muscoli pelvici;
- nell’uomo aiuta l’apertura del lume uretrale se il lubrificante è tenuto in sede eseguendo una compressione lieve della fossa navicolare (appena sotto il glande);
- nella donna, la lidocaina può essere strofinata intorno al meato uretrale, per ridurre il disagio dell’inserimento del catetere.
Nel momento in cui viene raccomandato l’uso del catetere l’infermiere deve indicare sulla scheda infermieristica:
- le indicazioni relative al cateterismo (data, orario di cateterizzazione e di rimozione, quantità di urina presente nella sacca);
- i segni e i sintomi del soggetto al momento della cateterizzazione (agitazione, presenza di globo palpabile);
- i dati relativi alla ripresa della diuresi spontanea (prima minzione, quantità , orario).
Si stima che la metà dei soggetti cateterizzati sviluppi un’infezione del tratto urinario, soprattutto quando il catetere rimane in sede per più di tre giorni, pertanto è consigliata la rimozione entro 48 ore. Per verificare se il soggetto abbia ripreso una minzione adeguata può essere fatto un esame ecografico, in alternativa viene fatto un cateterismo dopo la minzione per controllare se il residuo vescicale è uguale o maggiore di 100 ml. In questo caso si deve iniziare un programma di cateterismo provvisorio. Per aiutare il soggetto a urinare si può ricorrere a rimedi come la borsa di acqua calda per ridurre la contrazione degli sfinteri o la borsa di ghiaccio sull’addome per stimolare la minzione.
E’ importante inoltre che l’infermiere:
- valuti il bilancio idrico controllando l’assunzione dei liquidi (sia per via infusionale sia per via nutrizionale) e la perdita di liquidi corporei;
- favorisca la minzione del soggetto assicurandogli la privacy e quando possibile aiutandolo a recarsi in bagno.
Fonte: IPASVI