La sedazione terminale/palliativa si riferisce alla fase finale della vita ed è definita come “la riduzione intenzionale della vigilanza con mezzi farmacologici, fino alla perdita di coscienza, allo scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo altrimenti intollerabile per il paziente, nonostante siano stati messi in opera i mezzi più adeguati per il controllo del sintomo, che risulta, quindi, refrattario”.
La sedazione terminale/palliativa è quindi parte della normale terapia palliativa nell’ultima fase della malattia, ed è fondamentale come ultima possibilità terapeutica disponibile. Ci sono vari tipi di sedazione terminale/palliativa, per cui il malato può o meno riprendere coscienza (sedazione intermittente o sedazione continua).
La durata media dell’intervento di sedazione terminale/palliativa è di circa tre giorni, e comunque la sopravvivenza dei pazienti sedati in fase terminale non differisce da quella dei pazienti non sedati. L’uso della sedazione terminale/palliativa è a oggi molto variabile a seconda dell’area geografica e del setting in cui si trova il malato (ospedale, hospice, domicilio). In Italia viene iniziata nel 25% dei casi circa sia a livello domiciliare sia in hospice, ma con notevoli differenze percentuali tra i vari centri. Il dato italiano medio è comunque in linea con quello riportato nella letteratura internazionale.
La decisione di proporre e attuare una sedazione terminale/palliativa deve essere presa insieme al malato e ai familiari e rispettare le indicazioni cliniche appropriate oltre alle questioni etiche. L’appropriatezza si basa sul giudizio di refrattarietà del sintomo che causa sofferenza. Un sintomo si dice refrattario quando non è controllato adeguatamente nonostante le terapie poste in atto, considerandone tollerabilità, efficacia e compromissione dello stato di coscienza. Quindi un sintomo è refrattario se le terapie hanno effetti collaterali intollerabili per il malato e se non ci sono altre terapie che possano controllarlo. Questa definizione non comprende il sintomo cosiddetto difficile che in realtà risponde a un trattamento in un tempo tollerabile per il paziente.
Le indicazioni per porre in atto una sedazione terminale/palliativa sono sintetizzate nel seguente elenco:
- Eventi acuti con rischio di morte imminente: distress respiratorio refrattario ingravescente, con sensazione di morte imminente per soffocamento, accompagnato da crisi di panico angosciante; sanguinamenti massivi giudicati refrattari al trattamento.
- Sintomi fisici progressivamente refrattari: dispnea (35-50% dei casi); stato confusionale (delirium, 30-45% dei casi); nausea e vomito incoercibili da occlusione intestinale (25%); stato di male epilettico.
- Sofferenza psico-esistenziale: spesso la sofferenza psicologica è dovuta alla gravità dei sintomi fisici, ma a volte si ha una situazione detta di distress psicologico nella quale il malato ha ansia spiccata, angoscia, perdita della speranza, delusione, distruzione dell’identità personale, rimorso, terrore della morte, agitazione, perdita del senso e del valore della vita, sensazione di dipendenza e di essere di peso agli altri, desiderio di controllare il tempo della propria morte, senso di abbandono.11 Si tratta di una situazione che diventa intollerabile per il malato che deve essere dapprima gestita con i trattamenti disponibili, ma che può condurre alla scelta condivisa di iniziare una sedazione terminale/palliativa. Tale scelta è molto più difficile di quella in presenza di sintomi fisici refrattari e lascia quindi adito a maggiori critiche. A volte il malato con distress psicologico è consapevole e può anche avere un buon controllo dei sintomi fisici, ma occorre considerare che sintomi psicologici insostenibili per il malato equivalgono come gravità ai sintomi fisici per cui qualora siano refrattari ai trattamenti (con farmaci o altri trattamenti) può esserci l’indicazione alla sedazione terminale/palliativa una volta posta una chiara diagnosi, escludendo altre condizioni analoghe (delirium, ansia, eccetera).
Il dolore è riportato raramente (5%). Sintomi fisici refrattari possono aversi anche in alcune malattie cronicodegenerative come la sclerosi laterale amiotrofica con insufficienza respiratoria terminale, la sclerosi multipla, le distrofie muscolari, le demenze in fase evolutiva, il morbo di Parkinson, le malattie respiratorie croniche, le cardiomiopatie, le nefropatie e le patologie metaboliche. Nella fase terminale di queste malattie non tumorali la sofferenza dovuta ai sintomi refrattari è di intensità pari rispetto a quella delle patologie oncologiche.
Fonte: EBN e Quesiti clinico assistenziali Zadig Editore