La sfera etica nella sedazione terminale/palliativa

Le questioni etiche sono ben presenti nella sedazione terminale/palliativa, da molti creduta una forma di eutanasia. In realtà la sedazione terminale/palliativa è eticamente lecita e non ha nulla a che fare con l’eutanasia, non accorcia infatti la durata della sopravvivenza, ma mira solo al sollievo dai sintomi refrattari.

Etica e sedazione terminale/palliativa

Un’adeguata conoscenza delle dimensioni etiche della sedazione terminale/palliativa è indispensabile per essere consapevoli di agire entro i confini della liceità etica, tenendo presente che essa può indurre nel malato e ancora più nei familiari dubbi etici inerenti l’accelerazione della morte o la possibile confusione con l’eutanasia. Per chi voglia approfondire si rimanda al dossier scritto da Luciano Orsi per la Rivista Italiana di Cure Palliative da cui emerge che la sedazione terminale/palliativa è una procedura terapeutica eticamente lecita almeno in base alle principali prospettive presenti nell’attuale dibattito bioetico.
Si tratta anzi di una procedura doverosa e che rispetta i principi di autonomia e beneficialità. Più rilevante, in termine di pratica clinica, è le riposta a un quesito sovente posto dai malati e dai familiari, se cioè la sedazione terminale/palliativa accorci la durata della vita e se di conseguenza non possa in realtà essere considerata una forma di eutanasia. Deve essere anzitutto chiaro all’operatore sanitario che cosa si intenda per eutanasia: la sedazione terminale/palliativa è una procedura terapeutica nettamente distinta, sia sul piano clinico sia su quello etico, dall’eutanasia. Si considera eutanasia “l’uccisione intenzionale, attuata dal medico mediante somministrazione di farmaci, di una persona mentalmente capace che ne fa richiesta volontaria”.
Anzitutto la sedazione terminale/palliativa si distingue dall’eutanasia per l’obiettivo che si pone, ossia il controllo della sofferenza provocata dai sintomi refrattari e non l’induzione della morte del malato. In tal senso anche i farmaci impiegati sono finalizzati al miglior controllo dei sintomi e non alla rapida morte. Infine, diversi sono i risultati: nella sedazione terminale/palliativa la riduzione o l’abolizione della percezione della sofferenza, nell’eutanasia la morte del malato. La chiara distinzione anche sul piano etico fra sedazione terminale/palliativa ed eutanasia è sostenuta, oltre che dalla EAPC, anche da moltissime società scientifiche fra cui l’American Pain Society, la Società italiana di neurologia, l’American Academy of Hospice and Palliative Medicine, la French Society for Accompainement and Palliative Care, la Sociedad Espanola de Cuidados Paliativos. Rimane da rispondere alla domanda se la sedazione terminale/palliativa non anticipi la morte del malato.
Le evidenze emerse nella letteratura scientifica non sostengono questa ipotesi: gli studi indicano addirittura una sopravvivenza più prolungata nei malati sottoposti a sedazione terminale/palliativa. Una revisione Cochrane del 201516 conclude nella medesima direzione: l’utilizzo della sedazione terminale/palliativa non accorcia la durata della sopravvivenza. Altrettanto fa una revisione del 201417 in cui si conclude anche che “per mantenere la sedazione terminale/palliativa come una procedura legittima, sia dal punto di vista etico sia dal punto di vista clinico, essa deve essere limitata all’area per la quale è stata concepita, vale a dire il sollievo dalla sofferenza dovuta ai sintomi refrattari quando viene ritenuta necessaria da parte del malato e dal gruppo di esperti in cure palliative”.

La responsabilità della decisione

La decisione di procedere alla sedazione terminale/palliativa deve essere collegiale, il malato, se in grado di intendere deve essere informato, per il malato non più in grado di comprendere invece valgono le direttive anticipate o il principio del miglior interesse del malato. L’inizio della sedazione terminale/palliativa non viene deciso dal medico, ma da tutta l’équipe insieme al malato e ai familiari.

  1. Il malato mentalmente capace: se il malato è mentalmente capace bisogna ottenere il suo consenso prima di procedere (salvo situazioni d’emergenza). La ricerca del consenso aiuta il malato a sentirsi al centro delle cure e a controllare la situazione. Le informazioni da comunicare variano secondo il contesto, le richieste del malato e la sua disponibilità al dialogo. E’ sempre meglio condurre queste conversazioni anche in presenza dei familiari, in modo da coinvolgerli e renderli edotti di ciò che sta per accadere. In linea di massima è opportuno registrare in cartella il contenuto di queste conversazioni e le decisioni prese. Non ci sono raccomandazioni per l’utilizzo di un modulo di consenso specifico né per la richiesta di firma del malato, è sufficiente una registrazione del consenso verbalmente espresso in cartella clinica.
  2. Il malato mentalmente non capace: se il malato non è mentalmente capace o non vuole partecipare alle decisioni, valgono, sul piano etico, le direttive anticipate. La EAPC sollecita i sanitari che si occupano di malattie in fase terminale a indagare e documentare le preferenze di fine vita avviando una pianificazione anticipata delle cure. Le direttive anticipate, dette anche testamento biologico, living will o advanced directives, prevedono due documenti: la direttiva di istruzione e la direttiva di delega. Nella prima il malato esprime le sue volontà di accettare o rifiutare determinati trattamenti in alcune condizioni di terminalità, nella seconda delega due persone a rappresentarlo nelle decisioni future. Sul piano giuridico la validità delle direttive o volontà anticipate è controversa ma considerata prevalentemente nulla nonostante l’ art. 9 della legge del 14 marzo 2001 di ratifica della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina di Oviedo. Sul piano etico, invece, le direttive sono state riconosciute dal documento ad hoc del Comitato nazionale per la bioetica del dicembre 2003 e sul piano deontologico le direttive anticipate sono previste dall’art 38 del Codice di deontologia degli infermieri. In assenza delle direttive anticipate, nel malato non capace di intendere la decisione di iniziare una sedazione terminale/palliativa viene presa dai sanitari curanti ricorrendo al giudizio sostitutivo, basato sulle volontà e i desideri espressi in precedenza dal malato ai suoi cari o all’équipe curante. Se anche questo non è ricostruibile i sanitari devono ricorrere al criterio del migliore interesse del malato.

La dimensione spirituale

Nell’ambito di fine vita è fondamentale considerare anche la dimensione spirituale del malato, con cui non si intende solo l’aspetto religioso o confessionale legato all’adesione a una data confessione religiosa, ma i valori e le convinzioni profonde che compongono la spiritualità umana.
L’équipe di cure palliative deve affrontare anche questa dimensione e sviluppare competenze per cogliere e dare le risposte a questo bisogno, prestando attenzione a tutte le dimensioni della persona e offrendo la possibilità di un colloquio con l’assistente spirituale (con cui non si intendono solo i ministri di culto, ma anche mediatori culturali, counsellor, laici). Per questo motivo dovrebbe essere disponibile un elenco di nominativi di persone, associazioni ed enti capaci di accompagnare il malato, su richiesta dello stesso, rispondendo ai suoi bisogni spirituali.