Telemedicina: può salvare realmente la vita ma in Italia non decolla

La telemedicina può salvare la vita. Lo dimostrano i risultati dello studio presentato al congresso mondiale della Società Europea di Cardiologia (Esc) a Roma, sviluppato in collaborazione tra il dipartimento di Cardiologia dell’università di Brescia e Federfarma con l’adesione di 1.916 farmacie che sono state dotate dei macchinari per poter effettuare le indagini e di un network telematico connesso ad una piattaforma di telemedicina in cui un team di cardiologi era disponibile 24 ore su 24 per il consulto telefonico. Gli esami a distanza hanno permesso di intercettare anomalie e aritmie cardiache in pazienti che vi hanno fatto ricorso per diversi motivi, di cui l’8,1% avrebbe anche rischiato di morire. Nonostante in Italia le prime sperimentazioni risalgano agli anni ‘70 , tuttavia, la telemedicina (uno dei capisaldi dell’eHealth) fa ancora fatica a decollare.
Come spiega Leonardo Bolognese, responsabile della Cardiologia all’ospedale di Arezzo, il progetto di Brescia «aveva lo scopo di valutare l’efficacia del monitoraggio remoto tramite tecnologie di telemedicina e trasmissione dati. Il monitoraggio prevedeva l’uso di un elettrocardiogramma (ECG), monitoraggio della pressione arteriosa e holter ECG come prevenzione primaria per sottoporre a screening soggetti sani o controllare pazienti a rischio come soggetti con diabete, ipertensione o dislipidemia e anche effettuare una prevenzione secondaria i pazienti che avevano già avuto un evento cardiovascolare». Lo studio, durato dal 1 gennaio al 31 dicembre del 2015, ha coinvolto 14.733 donne e 13.549 uomini (con un età media di 57 anni). I soggetti hanno utilizzato gli strumenti disponibili nelle farmacie per una serie di sintomi come palpitazioni, sincope, dolore toracico atipico, testare la risposta alla terapia antiipertensiva e individuare ipertensione o ipotensione.
«I risultati sono stati estremamente interessanti — aggiunge Franco Romeo , direttore della Cardiologia del Policlinico Tor Vergata di Roma — nel 19% degli elettrocardiogrammi sono state individuate anormalità del tracciato, nel 43% delle rilevazioni pressorie sono stati individuati trend anormali nelle 24 ore in accordo con la classificazione della European Society of Hypertension come ipertensione sisto-diastolica, ipertensione sistolica e isolata e ipertensione diastolica isolata. E tra i soggetti sottoposti al monitoraggio Holter il 32,8% ha rivelato la presenza di aritmie come fibrillazione atriale, aritmie ventricolari e gravi blocchi atrio-ventricolari; 8,1% dei quali erano in pericolo di vita. Quando erano individuate delle anormalità, i soggetti erano inoltrati alla valutazione di un medico di famiglia o ad un cardiologo per successive valutazioni mentre in caso di rischio imminente i pazienti sono stati inviati al più vicino pronto soccorso». Tra i meriti dello studio, poi, c’è anche quello di avere dimostrato l’apporto che la rete delle farmacie può assicurare a quei programmi di prevenzione primaria e secondaria che richiedono il monitoraggio continuo dei pazienti.
«Questi dati confermano l’importanza di un’implementazione dei sistemi di telemedicina nel nostro paese dove ancora stentano a decollare — sottolinea Michele Gulizia , direttore Cardiologia all’Ospedale Garibaldi di Catania — . Specialmente in cardiologia la possibilità di utilizzare strategie di prevenzione primaria e secondaria potrebbe non solo accelerare la diagnosi e il trattamento ma diminuire le cosiddette “morti evitabili” con un impatto positivo sui costi sanitari». La telemedicina è uno dei pilastri della «rivoluzione digitale» descritta nei Piani sanitari nazionali degli ultimi dieci anni in Italia. Il «Patto della Salute» , siglato da poco, prevede il Patto per la Sanità digitale e le relative linee di indirizzo nazionali per la telemedicina. Eppure la telemedicina non è inserito ancora nei LEA ( Livelli Essenziali di Assistenza) e quindi non ha neppure un Drg o una tariffa ambulatoriale specifica, elemento considerato dagli esperti come uno degli ostacoli maggiori sulla strada della sua diffusione.
L’integrazione fra ospedale e territorio è forse la più grande sfida che il Servizio sanitario nazionale (ma in generale tutti i sistemi sanitari) ha davanti a sé. E il ministero della Salute ha giustamente individuato nella sanità elettronica l’elemento di innovazione in grado di facilitare e accelerare questo processo. Secondo Future Health Index, un recente studio europeo commissionato da Philips, l’81% dei pazienti intervistati affetti da patologie cardiovascolari ritiene importante che il sistema di assistenza sanitaria nel proprio paese sia integrato in modo da non dovere ripetere gli stessi test ed essere sottoposti agli stessi esami più volte facendosi visitare in strutture differenti. Speriamo che in futuro tutto ciò possa prendere piede e salvare ancor più vite.
 
Fonte: corriere.it