In passato si credeva che il neonato e il bambino molto piccolo, avendo un sistema nervoso non ancora maturo, non percepissero la sensazione di dolore. E’ dimostrato invece che non esistono limiti di età nella percezione del dolore e che già a partire dalla fine del secondo trimestre di gestazione il feto ha la struttura anatomica e neurochimica adeguata per percepire il dolore, anche se la maturazione del sistema nervoso avviene dopo la nascita. Nel corso dei primi 12-18 mesi di vita il sistema nervoso va incontro alla mielinizzazione delle aree nocicettive centrali (talamo, corteccia sensitiva, sistema limbico, ipotalamo e aree associative corticali cerebrali) e durante l’infanzia si ha lo sviluppo e il perfezionamento di recettori periferici, connessioni intramidollari e intracorticali con il sistema limbico e con le aree associative presenti nella corteccia frontale, parietale e nell’insula. I neonati pretermine non solo sentono dolore ma hanno i sistemi di modulazione immaturi e quindi hanno una percezione del dolore maggiore.
E’ importante valutare e trattare in modo adeguato il dolore nel bambino piccolo perché il dolore continuo o ripetuto e non controllato può:
- provocare conseguenze a breve termine con un peggioramento clinico, sviluppo di complicanze, prolungamento dell’ospedalizzazione, scarsa compliance alle cure;
- causare conseguenze a lungo termine con lo sviluppo di dolore cronico, alterazione della soglia del dolore, problemi psico-relazionali, necessità di ricorso alla contenzione fisica durante le successive manovre dolorose;
- modificare a livello strutturale e funzionale il sistema nocicettivo/antalgico con effetti negativi sulla prognosi, maggiori in età neonatale e pediatrica rispetto alle età successive.
Inoltre è emerso che il neonato ha memoria del dolore e anche se i ricordi non sono consci possono tuttavia causare disordini comportamentali, cognitivi e problemi psicosociali.
La valutazione del dolore deve essere una pratica abituale, da ripetersi a intervalli regolari e da integrare nella gestione continua del dolore. In particolare il dolore va valutato ogni volta che:
– il bambino si trova in condizioni cliniche che possono determinare dolore;
– il bambino dice o manifesta di avere dolore;
– i genitori riferiscono che il bambino ha dolore;
– almeno una volta al giorno quando il bambino è ricoverato in ospedale;
– prima e dopo un intervento o una procedura dolorosa.
Per una corretta valutazione è fondamentale una accurata anamnesi così da riuscire a mettere in luce:
– precedenti esperienze dolorose e risposte messe in atto;
– descrizione del dolore attuale (quale è la sede, come è l’andamento, se migliora dopo l’assunzione dei farmaci, se il bambino riesce a dormire nonostante il dolore, se il bambino riesce a giocare nonostante il dolore);
– situazione affettiva e familiare.
Se il bambino è in grado di collaborare, è fondamentale chiedergli di descrivere il dolore sia in termini di intensità sia di caratteristiche (per esempio se è un dolore continuo, oppure intermittente). Per una migliore valutazione si raccomanda di utilizzare una scala di valutazione. Esistono numerose scale di valutazione per i bambini: la scelta va effettuata in funzione delle caratteristiche del bambino (età, sviluppo cognitivo, condizione clinica).
Quando si somministra una scala di autovalutazione l’infermiere deve spiegare in modo semplice e preciso come usare la scala, indicando quale è il riferimento per “nessun dolore” (faccina che ride, oppure punteggio zero, oppure la base della linea verticale) e quale per il “dolore massimo” (faccina che piange, punteggio 10 o 100, punto più alto della linea verticale). Se possibile bisognerebbe mostrare la prima volta la scala al bambino in un momento in cui non ha dolore.
In alternativa alla scale di autovalutazione, se il bambino è in età preverbale o se ha problemi cognitivi, si può ricorrere alle scale di eterovalutazione: il genitore o l’operatore sanitario cercano di valutare il dolore osservando il comportamento e prendendo in esame alcuni parametri fisiologici, in particolare la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca.
E’ importante che l’infermiere sappia interpretare le espressioni e i segnali del bambino in funzione dell’età. Sotto i 2 anni il dolore viene descritto con le parole “ahia”, “bua”, i bambini non sono in grado di quantificare il dolore; la capacità di quantificare comincia a concretizzarsi dopo i due anni.
Tra i 3 e i 5 anni il dolore viene gradualmente quantificato con espressioni tipo “poco”, “un po’” e “molto”.
A 5 anni i bambini iniziano a dare una descrizione più precisa del dolore e della sua intensità.
A 6 anni i bambini riescono a distinguere i livelli di intensità del dolore.
In genere sopra gli 8 anni si inizia a comprendere anche la relazione di causa ed effetto, i bambini possono quindi spiegare quando il dolore si riduce e quando aumenta.
La scelta della terapia farmacologica deve tenere presente che dal punto di vista della farmacocinetica e farmacodinamica il bambino ha caratteristiche diverse dall’adulto e tali caratteristiche sono in continuo cambiamento durante l’accrescimento. L’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda:
- in caso di dolore lieve, paracetamolo o ibuprofene;
- dolore da moderato a grave, morfina. L’uso della morfina in Italia è in realtà limitato ai casi di dolore grave non sensibile ai farmaci di primo livello.
Il paracetamolo è l’analgesico più usato in età pediatrica per il buon profilo di efficacia, sicurezza e per il buon rapporto costo-benefici. L’ibuprofene è un FANS più debole rispetto agli altri e per questo è l’unico FANS raccomandato in pediatria (sopra i 3 mesi di età). Nei bambini sotto i 3 mesi con dolore lieve l’unico farmaco che può essere somministrato è il paracetamolo.
Esistono diverse tecniche non farmacologiche utili per il controllo del dolore. Non è possibile raccomandarne una in particolare perché ciascuna, in funzione dell’età e delle caratteristiche individuali del bambino, può ridurre e in alcuni casi abolire il dolore. In particolare sono metodi efficaci: coinvolgere il bambino nella gestione della malattia, distrarre il bambino dal suo dolore, abbracciarlo e accarezzarlo. La distrazione non deve essere intesa come attività passiva ma il bambino deve essere coinvolto in attività distraenti (il gioco, la lettura, il disegno) concentrandosi su qualcosa di piacevole per lui, che distragga dallo stimolo doloroso.
Una attività raccomandata per il dolore acuto da procedura, soprattutto nei bambini tra 2 e 4 anni, è giocare con le bolle di sapone. Questa attività unisce sia la distrazione sia il rilassamento perché da una parte concentrandosi sulle bolle di sapone il bambino si distrae e di diverte, dall’altra per formare le bolle il bambino è costretto a respirare profondamente (espirazione) e quindi si favorisce il rilassamento.
Le tecniche non farmacologiche consigliate in base all’età sono:
- 0-2 anni prediligere il contatto fisico, contenere o accarezzare il bambino, cullarlo, distrarlo con carrillon e giocattoli sopra alla culla; nei più piccoli è stato dimostrato come sia utile, per ridurre il dolore acuto, ove possibile, l’allattamento al seno, o la somministrazione di soluzione glucosata, o altre semplici tecniche analoghe che mirino a ottenere la cosiddetta saturazione sensoriale;
- 2-4 anni distrarre il bambino giocando con lui con pupazzi, raccontando storie, leggendo libri, aiutarlo a rilassarsi con la respirazione;
- 4-6 anni aiutarlo a rilasssarsi con la respirazione, distrarlo raccontandogli storie, giocando con pupazzi, parlando con lui dei luoghi preferiti, guardando la televisione, proporgli giochi di visualizzazione;
- 6-11 anni musica, aiutarlo a rilassarsi con la respirazione, con la musica, distrarlo parlando dei luoghi preferiti, guardando la televisione, facendo giochi di visualizzazione;
- 11-13 anni aiutarlo a rilassarsi e a distrarsi con la musica, facendo giochi di visualizzazione, con la respirazione.
Fonte: IPASVI