E' ora di fondare un'Associazione degli infermieri italiani nel Regno Unito!

7 anni ago

Da circa due anni gestisco il mio piccolo blog e la relativa pagina Facebook, dedicando un bel pezzo del mio tempo libero ad informarmi ed informare, per far conoscere la realtà del sistema sanitario inglese, vista con gli occhi di un infermiere italiano.
L’ho sempre fatto con piacere, perché attraverso questo progetto ho riscoperto la mia prima, vera passione: scrivere.
Quando iniziai, sentivo inoltre che i tempi erano maturi per creare un ponte tra Italia e Regno Unito, per aprire la comunità infermieristica del mio paese alla conoscenza del mondo anglosassone, così importante, per via delle estreme somiglianze nelle architetture dei sistemi sanitari.
Il nuovo anno porta tradizionalmente con sé nuovi propositi e desideri.
La speranza è che i miei, partendo proprio dal blog e dai social media, arrivino a coinvolgere molte, ma davvero molte, persone. Ora vi spiego come.
Gli infermieri italiani che sono attualmente registrati presso l’NMC hanno superato ormai le 5.000 unità, come da statistiche ufficiali dell’Aprile 2017.
Si tratta di una comunità cresciuta esponenzialmente negli ultimi 5 anni, conseguenza di un sistema sanitario vicino al collasso ed incapace di inserire nella realtà lavorativa le nuove generazioni di professionisti, ma – in non pochi casi – anche infermieri più…stagionati.
Chi è partito, nella grande maggioranza dei casi lavora adesso con un posto a tempo indeterminato.
In tanti hanno iniziato a fare carriera, altri ci sono già riusciti.
L’esperienza lavorativa nel Regno Unito regala spesso belle soddisfazioni, conoscere nuovi colleghi ed amici spesso ancora di più, sebbene non tutti possano affermare di avere vissuto momenti felici nel loro ambiente di lavoro, anzi.
Tuttavia, mentre chi vive oggi in Italia ed è disoccupato è stato dimenticato, gli emigrati sono stati dimenticati due volte: prima e dopo essere partiti, dalle istituzioni e perfino dall’Ipasvi (ops. Ordine!).
Perché?
Azzardo una provocazione: perché senza di noi ci sono meno bocche da sfamare, meno infermieri ai concorsi, meno rompiscatole in graduatoria che possono fare ricorso, meno persone che si lamentano e che tocca assumere prima o poi, se sono abbastanza tenaci da resistere a voler fare la professione per cui hanno studiato tre anni.
E poi, di che si lamentano? Guadagnano cifre spropositate, 4.000, no anzi, 5.000 euro al mese, l’amico di mio cugino si è addirittura comprato l’Audi nel giro di due anni.
Il Ministro Alfano ha addirittura sostenuto che l’emigrazione dimostra l’apprezzamento dell’eccellenza italiana nel mondo, le agenzie di recruitment fanno a gara per assumerci e il Brexit non ci toccherà minimamente!
Sarà per queste ragioni, sarà forse per banale dimenticanza, ma un fatto è certo: in Gran Bretagna siamo dispersi ai quattro venti, senza avere uno straccio di rappresentanza, un punto di riferimento.
Chi emigra si butta nel vuoto, inviando il proprio curriculum alle agenzie più note e sperando di non essere truffato, cercando informazioni a destra e a manca, magari chiedendole all’amico del cugino, proprio quello che si è comprato l’Audi.
Chi invece arriva in questo Paese dopo aver superato il colloquio, con una conoscenza dell’inglese quasi sempre da perfezionare, lo fa senza sapere nulla di ciò che l’aspetterà nell’ambiente di lavoro e senza avere la più pallida idea della società inglese e delle sue regole, dell’NHS, del sistema sanitario.
Gli inglesi sono in gamba, ci offrono spesso l’alloggio, ci formano attraverso corsi preparatori che possono anche durare, in qualche caso, due-tre settimane, ci regalano schede telefoniche e Oyster card. Sanno che staccare un biglietto di sola andata in una Nazione nuova e sconosciuta è un passo drammatico e difficile; sono tradizionalmente un popolo di esploratori, viaggiatori ed emigranti, e fanno del loro meglio per accoglierci decorosamente e trattenerci il più a lungo possibile.
A loro serviamo, siamo indispensabili, per l’Italia, evidentemente, no.
Finché le cose vanno bene, siamo contenti. Ma se qualcosa va storto, se subiamo mobbing, se anche solo ci serve un documento od una informazione, allora dobbiamo incrociare le dita ancora una volta e sperare che la nostra matron, il nostro manager, magari il sindacato, chiunque insomma nell’ambiente di lavoro possa aiutarci.
Ancora una volta, sapendo poco o niente dell’Inghilterra e delle sue regole.
Se si vuole poi tornare in Italia, il quadro è, paradossalmente, ancora più drammatico.
Si rientra con un biglietto di prima classe solo quando, grazie a magie, salti mortali e biglietti aerei last second, si è riusciti a presentarsi per le tutte le prove di quella specie di concerto da stadio che si ostinano a chiamare concorso pubblico e che dovrebbe selezionare i più meritevoli.
Gli altri, chi si è stufato e non ce la fa più, chi ha il papà o la mamma malati, tornano senza un contratto. Di nuovo disoccupati, rimediando un posto nella vicina casa di riposo (ops, scusate, RA od RSA), o strappando un contrattino di qualche mese in una clinica privata.
Oppure abbandonando la professione.
E le competenze acquisite in Inghilterra? Carta straccia, anche per chi torna a lavorare in un ospedale pubblico. Farsi riconoscere gli anni di servizio prestati all’estero, ai fini concorsuali, è una procedura lunga e complessa, che coinvolge il Consolato generale.
Per non parlare delle competenze specialistiche.
Hai un’esperienza di due anni in intensive care, la nostra Rianimazione? Hai conseguito anche un master in terapia intensiva? Benissimo, ma scusa, ti mando in sala operatoria, per la Rianimazione c’erano troppe richieste prima di te. Non è un esempio, ma una storia vera.
Sono passati molti anni e siamo in tanti.
E’ ora giunto il momento di riunirci e far sentire anche la nostra voce, in Italia e nel Regno Unito.

Non sto parlando di fondare una sezione Ipasvi (anzi, dell’Ordine!) in Italia, santo cielo! So bene che mi mandereste a quel Paese (non l’Inghilterra), vista la poca stima di cui gode la nostra rappresentanza in questo momento di crisi.
Non potremmo neanche farlo giuridicamente: l’Ipasvi è un Ente di diritto amministrativo italiano, non avrebbe senso riunirci Oltremanica, fissando la sede legale in Italia.
Ma possiamo unirci, fondare un’associazione. Per fare cosa? Molto.
Assistenza legale e burocratica, scambio di informazioni e di esperienze, anche solo semplice contatto, sono le prime cose che mi vengono in mente.
Per non parlare delle richieste che potremmo avanzare al nuovo Ordine, nel breve e nel lungo termine, richieste legittime e che non sottrarrebbero, ma darebbero valore aggiunto alla professione nel nostro Paese: congelamento immediato dell’obbligo dei crediti formativi ECM per chi lavora in UK ed è ancora iscritto in Italia, riconoscimento automatico in Italia dei titoli specialistici acquisiti nel Regno Unito, ovviamente quando gli stessi avranno apprezzamento economico e di carriera anche in Italia, fino a corsi di lingua e borse di studio per infermieri italiani che desiderino formarsi in Inghilterra (esattamente come già fanno i medici italiani, badate!!) e convegni tenuti da infermieri italiani ed inglesi, in partnership.
Nel frattempo, mi piacerebbe portare una delegazione l’anno prossimo a Roma, quando si voterà per il rinnovo del Direttivo Nazionale. Un modo per dire: ci siamo anche noi.
Siamo partiti per essere emigranti, rendiamoci partecipi e promotori di un processo evolutivo dell’intera categoria, dimostrando che la nostra partenza è stata una necessità, ma la nostra permanenza un’opportunità.
A voi che mi leggete e che siete arrivati fino alla fine di questo “programma” di intenti chiedo un solo, grande favore: condividetemi il più possibile e spargete la voce.
Forse qualcuno più bravo e capace di me, tra i colleghi italo-inglesi, riuscirà a mettere meglio in pratica quanto sto proponendo: allora lo seguirò.
Altrimenti, camminiamo insieme in questa direzione: è il mio sogno e se è anche il vostro, allora realizziamolo, dovessero volerci molti anni.
Se non ci riusciamo, almeno ci proviamo, fino alla fine.
Io ci metto la faccia.
Ma se non vi interessa, va bene così. So bene quanto sia potente il menefreghismo italiano, la voglia di badare solo al proprio orticello. E so come comportarmi, se questo spirito dovesse prevalere.
Buon 2018 a tutti.

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