È ormai da tempo sdoganata come affascinante ma per chi deve occuparsi dei malati in corsia la chioma sale e pepe, magari a grande prevalenza del primo dei due elementi, può essere un problema. Quando ci sono turni di notte da fare, pazienti da spostare o anche da lavare, avere una certa età diventa dura. Lo pensano ogni giorno migliaia di infermieri che lavorano per il Sistema sanitario nazionale. Gli ultimi dati raccontano che la soglia dei 50 anni di età media, nel servizio pubblico, è appena stata superata.
Le figure del giovane infermiere e della giovane infermiera, lavoratori forti ed entusiasti, ormai sono stereotipi: nelle corsie ci sono più sessantenni che trentenni. Professionisti tra i quali aumentano le inidoneità e le limitazioni al lavoro per motivi di salute. Magari, vorrebbero e potrebbero impiegare le energie per formare i colleghi più giovani.
L’aumento dell’età degli infermieri va di pari passo con un altro problema: la riduzione degli organici. Crisi, blocco delle assunzioni, attenzione spasmodica ai bilanci da parte delle Regioni, da dieci anni a questa parte, hanno ridotto al lumicino i concorsi. Spostando in avanti l’età di chi lavorava già. Fuori dal sistema, così, premono decine di migliaia di professionisti giovani che vorrebbero essere assunti. I problemi di organico di molte aziende sanitarie e ospedaliere italiane sono sollevati dalla Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi).
Come al solito, in Italia le Regioni vanno a velocità diverse. Ce ne sono alcune, come la Calabria, dove un infermiere in media segue 17 pazienti e altre, come il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, il Veneto o la Toscana, dove i suoi colleghi ne seguono 9. Per dare un’idea di cosa significhino queste differenze, Fnopi segnala che “secondo studi internazionali la riduzione da 10 a 6 pazienti medi per infermiere abbatte il rischio di mortalità del 20%”. Un altro parametro che viene osservato è il numero di professionisti per ogni medico al lavoro nel singolo ospedale. E anche qui le cose cambiano a seconda di dove ci si sposta. All’Asl di Palermo è di 1,3, all’Azienda ospedaliera di Padova gli organici sono molto più ampi e il dato è di 4,3.
“Il lavoro dell’infermiere è molto impegnativo – dice Barbara Mangiacavalli, presidente di Fnopi – Intanto per il livello di attenzione richiesto in certi casi. Penso a chi deve seguire un paziente monitorato per la notte. Se ha 40 anni è una cosa, se ne ha 60 un’altra. Poi, in certe Regioni, soprattutto del Sud, c’è il problema della carenza di operatori di supporto. Così gli infermieri si trovano a fare di tutto, magari i portantini e pure gli addetti alla pulizia dei pazienti”. Al contrario di quello che avviene per i medici, tra l’altro, sembrerebbero esserci sul mercato molti professinisti da assumere. “In realtà non abbiamo tanti infermieri disoccupati – nota sempre Mangiacavalli – Tra cooperative, libera professione, attività nel privato, contratti a tempo lavorano quasi tutti. E se una Asl fa un avviso per assunzioni a tempo determinato ha problemi a trovare candidati. Se invece lo fa a tempo indeterminato. arrivano carovane di candidati per una manciata di incarichi. Nel nostro Paese il posto fisso è sempre un miraggio”. Per alcuni degli infermieri sale e pepe il miraggio invece è la pensione.
Fonte: repubblica