Il corpo e le parti che lo compongono rappresentano l’oggetto di studio per eccellenza nel campo medico-sanitario. La medicina si è focalizzata in un’analisi sempre più attenta, scrupolosa e dettagliata del corpo, trasformandolo in corpo-oggetto, denaturalizzandolo del suo significato, spogliandolo della sua complessità e rendendolo silenzioso. Tale consapevolezza mi ha portata al desiderio di porre una riflessione sul ruolo che il Corpo riveste nella relazione di cura. Il corpo rappresenta il fulcro della pratica infermieristica, esso rappresenta “strumento dell’agire professionale, strumento di conoscenza e strumento di relazione” (Visioli S., 2004). L’atto assistenziale non si limita all’erogazione di cure, al sapere e saper fare, ma è caratterizzato anche dalla competenza ad esserci.
Esserci è la capacità di saper stare nella relazione, saper essere presenti nella quotidianità con il corpo, di essere sensibili al corpo dell’altro. La competenza ad esserci parte innanzitutto dalla consapevolezza di sé, di un sé corporeo, in quanto noi siamo i1l nostro corpo. Riflettere su ciò che siamo, sulle nostre emozioni, sul nostro vissuto, sulle nostre convinzioni, i nostri limiti, sulle nostre paure e i nostri punti di forza, rappresenta la base per poter percepire il prossimo. Riflettere su noi stessi e metterci “dall’altra parte”, è il primo passo per poter comprendere e percepire un corpo che non sia il nostro.
Per realizzare il progetto di tesi è stato somministrato un questionario agli studenti del terzo anno del Corso di Infermieristica, con lo scopo di far emergere tre aspetti legati al corpo: la percezione verso il proprio corpo visto come Io-soggetto, la percezione nei confronti di un altro corpo visto come Io- corpo che ne incontro un altro e la percezione del proprio corpo all’interno della professione infermieristica. Si è dunque indagato come si percepisce il corpo, se lo si percepisce implicato, neutro, asessuato, e non solo, come viene sentito, immaginato, rielaborato il vissuto di intimità con il corpo dell’altro, se resta evaso, se fa paura, se genera imbarazzo e di conseguenza se porta a gesti spicci, superficiali. (Manuzzi P., 2009)
La parola corpo, come è emerso anche in seguito dall’analisi degli elaborati, rinvia a molteplici significati e raffigurazioni: il corpo anatomico, fisiologico, estetico, artistico, come sede di noi stessi, come mezzo per poter svolgere attività fisiche, come sede di emozioni, conoscenze e mezzo di comunicazione con il mondo. E’ importante riflettere sul ruolo che il corpo riveste nella relazione di cura, in quanto chi opera con i corpi deve essere consapevole di “maneggiare” qualcosa di prezioso, di delicato, di fragile, poiché chi compie gesti di cura muove sia la parte fisica che psichica di quel corpo, portando a degli effetti, che possono risultare positivi, benefici ma anche negativi, distruttivi. La dimensione corporea nell’atto di cura può essere vista come la capacità di esserci “nel-mondo-con-gli-altri” (Iori V., 2009), dove il termine cura ha un duplice significato: (to cure) di curare tramite i trattamenti e (to care) di prendersi cura, quindi di porsi in una relazione di ascolto; perciò un prendersi cura che consideri la globalità della persona, tramite il modello bio- psico-sociale. Per fare ciò, è necessario rompere la visione di corpo come “involucro o scatola biologico-chimica” (Manuzzi P., 2009) e considerare il corpo nella sua totalità e complessità, bisogna imparare a riconoscere noi stessi nell’altro, ad approcciarci in modo empatico, a farci emozionare, in modo da comprendere i bisogni di chi abbiamo di fronte. Il corpo va dunque visto come portatore di un soggetto, come mezzo di relazione, come luogo di esperienza, di emozioni e di dolore.
Infatti, quando una persona si ammala, questa instaura una relazione con la malattia, tra la persona che era prima, sana e la persona attuale, malata. In condizione di malattia il corpo si trasforma e va ad alterare e ostacolare le relazioni con il mondo, il corpo diventa un fardello, un ostacolo. Entrare in con-tatto con un corpo malato diventa più difficile, in quanto ci troviamo di fronte a barriere difensive, dove noi siamo potenzialmente “un’offesa”, “degli intrusi” per quell’organismo. Attraverso i gesti di cura possiamo prendere in carico la persona nel suo essere globale, accogliendola in un territorio più caldo. Tramite i nostri gesti e la comunicazione, verbale e non, possiamo donare valore, dignità e unicità alla persona assistita. E’ fondamentale, quindi, porre attenzione quando si entra nello spazio intimo del paziente, nel suo mondo; bisogna chiedere il permesso, avvicinarsi in punta di piedi, approcciandosi in modo empatico, trasmettendo comprensione e sicurezza. L’empatia rappresenta un’altra competenza fondamentale per l’assistenza, la quale ci permette di avvicinarci all’altro. Questo rende possibile stabilire un legame, grazie al quale, si rende possibile mettersi nei panni dell’altro percependo e riconoscendo le emozioni degli altri e facendole proprie, comprendendo così pensieri e sentimenti.
L’empatia, inoltre, rappresenta la base delle competenze comunicative-relazionali, in quanto permette di uscire dai propri schemi mentali, dalle proprie convinzioni e stereotipi, per vedere le cose con gli occhi del nostro interlocutore, ponendosi così in un ascolto attivo. Lo studio fatto ha portato alla riflessione dell’umanizzazione delle cure tramite la narrazione. La narrazione, rappresenta uno strumento che mette in luce il corpo- soggetto, donandogli voce, in quanto diventa parte integrante del processo assistenziale. Rappresenta un rinforzo, un aiuto nella pratica clinica, in quanto fornisce informazioni migliori sulla persona, sul suo vissuto.
Rappresenta una modalità di affrontare la malattia, tesa a comprendere il significato in quadro complessivo; offre nuove prospettive di cura prendendo in considerazione la persona nel suo insieme, considerando il suo vissuto, dando così la speranza di fornire un’assistenza più efficacie, eliminando gli elementi che tendono a renderla frammentata, come la crescente attenzione posta alle tecnologie di diagnosi e analisi (Charon R., 2006). La medicina narrativa mette insieme le parole e i significati, arricchisce le cure, valorizzando la prospettiva e la visione della malattia del soggetto, guidando gli operatori nella giusta pianificazione dell’assistenza che mira al singolo, all’unicità della persona, personalizzando le cure, portando ad una maggiore adesione da parte del paziente e di conseguenza ad una maggiore efficacia. Rappresenta, quindi, non solo un modo per avvicinarsi ad un approccio olistico, ma rappresenta anche un elemento fondamentale per la diagnosi e la pianificazione assistenziale.
Ringraziamo Anna Puleo per l’invio e la messa a disposizione della sua tesi. Se volete consultarla la trovate a questo link: Tesi
Esserci è la capacità di saper stare nella relazione, saper essere presenti nella quotidianità con il corpo, di essere sensibili al corpo dell’altro. La competenza ad esserci parte innanzitutto dalla consapevolezza di sé, di un sé corporeo, in quanto noi siamo i1l nostro corpo. Riflettere su ciò che siamo, sulle nostre emozioni, sul nostro vissuto, sulle nostre convinzioni, i nostri limiti, sulle nostre paure e i nostri punti di forza, rappresenta la base per poter percepire il prossimo. Riflettere su noi stessi e metterci “dall’altra parte”, è il primo passo per poter comprendere e percepire un corpo che non sia il nostro.
Per realizzare il progetto di tesi è stato somministrato un questionario agli studenti del terzo anno del Corso di Infermieristica, con lo scopo di far emergere tre aspetti legati al corpo: la percezione verso il proprio corpo visto come Io-soggetto, la percezione nei confronti di un altro corpo visto come Io- corpo che ne incontro un altro e la percezione del proprio corpo all’interno della professione infermieristica. Si è dunque indagato come si percepisce il corpo, se lo si percepisce implicato, neutro, asessuato, e non solo, come viene sentito, immaginato, rielaborato il vissuto di intimità con il corpo dell’altro, se resta evaso, se fa paura, se genera imbarazzo e di conseguenza se porta a gesti spicci, superficiali. (Manuzzi P., 2009)
La parola corpo, come è emerso anche in seguito dall’analisi degli elaborati, rinvia a molteplici significati e raffigurazioni: il corpo anatomico, fisiologico, estetico, artistico, come sede di noi stessi, come mezzo per poter svolgere attività fisiche, come sede di emozioni, conoscenze e mezzo di comunicazione con il mondo. E’ importante riflettere sul ruolo che il corpo riveste nella relazione di cura, in quanto chi opera con i corpi deve essere consapevole di “maneggiare” qualcosa di prezioso, di delicato, di fragile, poiché chi compie gesti di cura muove sia la parte fisica che psichica di quel corpo, portando a degli effetti, che possono risultare positivi, benefici ma anche negativi, distruttivi. La dimensione corporea nell’atto di cura può essere vista come la capacità di esserci “nel-mondo-con-gli-altri” (Iori V., 2009), dove il termine cura ha un duplice significato: (to cure) di curare tramite i trattamenti e (to care) di prendersi cura, quindi di porsi in una relazione di ascolto; perciò un prendersi cura che consideri la globalità della persona, tramite il modello bio- psico-sociale. Per fare ciò, è necessario rompere la visione di corpo come “involucro o scatola biologico-chimica” (Manuzzi P., 2009) e considerare il corpo nella sua totalità e complessità, bisogna imparare a riconoscere noi stessi nell’altro, ad approcciarci in modo empatico, a farci emozionare, in modo da comprendere i bisogni di chi abbiamo di fronte. Il corpo va dunque visto come portatore di un soggetto, come mezzo di relazione, come luogo di esperienza, di emozioni e di dolore.
Infatti, quando una persona si ammala, questa instaura una relazione con la malattia, tra la persona che era prima, sana e la persona attuale, malata. In condizione di malattia il corpo si trasforma e va ad alterare e ostacolare le relazioni con il mondo, il corpo diventa un fardello, un ostacolo. Entrare in con-tatto con un corpo malato diventa più difficile, in quanto ci troviamo di fronte a barriere difensive, dove noi siamo potenzialmente “un’offesa”, “degli intrusi” per quell’organismo. Attraverso i gesti di cura possiamo prendere in carico la persona nel suo essere globale, accogliendola in un territorio più caldo. Tramite i nostri gesti e la comunicazione, verbale e non, possiamo donare valore, dignità e unicità alla persona assistita. E’ fondamentale, quindi, porre attenzione quando si entra nello spazio intimo del paziente, nel suo mondo; bisogna chiedere il permesso, avvicinarsi in punta di piedi, approcciandosi in modo empatico, trasmettendo comprensione e sicurezza. L’empatia rappresenta un’altra competenza fondamentale per l’assistenza, la quale ci permette di avvicinarci all’altro. Questo rende possibile stabilire un legame, grazie al quale, si rende possibile mettersi nei panni dell’altro percependo e riconoscendo le emozioni degli altri e facendole proprie, comprendendo così pensieri e sentimenti.
L’empatia, inoltre, rappresenta la base delle competenze comunicative-relazionali, in quanto permette di uscire dai propri schemi mentali, dalle proprie convinzioni e stereotipi, per vedere le cose con gli occhi del nostro interlocutore, ponendosi così in un ascolto attivo. Lo studio fatto ha portato alla riflessione dell’umanizzazione delle cure tramite la narrazione. La narrazione, rappresenta uno strumento che mette in luce il corpo- soggetto, donandogli voce, in quanto diventa parte integrante del processo assistenziale. Rappresenta un rinforzo, un aiuto nella pratica clinica, in quanto fornisce informazioni migliori sulla persona, sul suo vissuto.
Rappresenta una modalità di affrontare la malattia, tesa a comprendere il significato in quadro complessivo; offre nuove prospettive di cura prendendo in considerazione la persona nel suo insieme, considerando il suo vissuto, dando così la speranza di fornire un’assistenza più efficacie, eliminando gli elementi che tendono a renderla frammentata, come la crescente attenzione posta alle tecnologie di diagnosi e analisi (Charon R., 2006). La medicina narrativa mette insieme le parole e i significati, arricchisce le cure, valorizzando la prospettiva e la visione della malattia del soggetto, guidando gli operatori nella giusta pianificazione dell’assistenza che mira al singolo, all’unicità della persona, personalizzando le cure, portando ad una maggiore adesione da parte del paziente e di conseguenza ad una maggiore efficacia. Rappresenta, quindi, non solo un modo per avvicinarsi ad un approccio olistico, ma rappresenta anche un elemento fondamentale per la diagnosi e la pianificazione assistenziale.
Ringraziamo Anna Puleo per l’invio e la messa a disposizione della sua tesi. Se volete consultarla la trovate a questo link: Tesi