Tesi: "La famiglia durante l'RCP. Dentro o fuori?"

L’Articolo 21 -CAPO IV- del Codice Deontologico degli infermieri del 2009, recita:
“L’infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall’assistito, favorisce i rapporti con la comunità e le persone da lui significative, coinvolgendole nel piano di assistenza. Tiene conto della dimensione interculturale e dei bisogni assistenziali ad essa correlati”.
Come si evince dall’articolo 21 CD 2009, l’infermiere si impegna nel coinvolgere i familiari nel piano assistenziale dell’assistito. Spesso invece proprio alla famiglia viene chiesto di allontanarsi dal proprio caro, sia per attività routinarie come i prelievi, sia per attività più particolari. Specialmente in situazioni di emergenza. Con la nascita della visione olistica dell’assistenza e col conseguente coinvolgimento dei familiari nel piano assistenziale, il modo di vivere il processo di cura è cambiato radicalmente.
Nonostante numerosi studi raccomandino di permettere il coinvolgimento del familiare quasi a 360 gradi, esistono situazioni in cui il sanitario preferisce allontanare quest’ultimo per preoccupazioni, scarse conoscenze o inadeguatezza del familiare.
La situazione a cui facciamo riferimento nella nostra ricerca è la rianimazione cardiopolmonare.
Si è parlato di rianimazione assistita per la prima volta negli anni ’80, ma nonostante le ampie documentazioni esistenti, è tuttora una pratica controversa che risveglia timori e preoccupazioni profonde.
Le indagini rilevate riguardano per lo più le percezioni dei sanitari e dei familiari riguardo tale pratica. Le evidenze indicano numerosi benefici a carico della famiglia, grazie all’implementazione della pratica discussa, e nonostante le preoccupazioni dei sanitari, la maggior parte degli studi non riferiscono livelli eccessivi di ansia quando il personale è ben formato e rodato. Le ricerche a cui facciamo riferimento vedono la loro pubblicazione nell’arco temporale 2013-2017.
Interessante, uno studio condotto in Francia nel 2014 che ha valutato la risposta dei parenti ad un anno dall’evento della rianimazione assistita. Costui informa che i sintomi del disturbo da stress post traumatico e la depressione, sono meno frequenti quando alle famiglie è concesso stare col proprio caro durante la rianimazione1. Riporta inoltre, che la rianimazione assistita facilita il processo di lutto e previene i disturbi sopra citati.
Ancora, Hadi Hassankhani, Vahid Zamanzade, Azad Rahmani, Hamidreza Haririan, Joanne E. Porter, fanno luce con il loro studio basato sulle percezioni dei sanitari che hanno effettuato rianimazioni assistite. Secondo quanto analizzato da loro, la presenza del familiare, beneficerebbe ad un team esperto inducendolo a dare il massimo. Al contrario, in caso di personale con scarse esperienze a riguardo, la presenza del parente potrebbe causare ansia e distrazione, inficiando il risultato2.
Altri temi trattati nella bibliografia vedono la facilitazione al consenso alla donazione di organi, la diminuzione delle ripercussioni legali ed un migliore coinvolgimento della famiglia nel processo assistenziale.
L’indagine effettuata per questa tesi di laurea si basa su quanto riportato nelle linee guida ERC e AHA per la rianimazione cardiopolmonare 2015, le quali invitano fortemente dove fattibile, a dare la possibilità ai familiari di assistere ai tentativi di rianimazione sul proprio caro.
Spesso, soprattutto nei reparti intensivi e di emergenza e urgenza, viene considerato l’assistito come un organismo da curare e non come una persona con una sfera emotiva ed affettiva. La stessa sfera affettiva che soffre insieme a lui e che viene sconvolta dalla malattia. La medicina negli ultimi secoli ha fatto passi da gigante riguardo le manovre di rianimazione, ma sempre più spesso si tende a voler privatizzare la morte e quindi ad allontanare i familiari quando arriva, facendo morire la persona tra apparecchiature sofisticate e persone che soccorrono.
La famiglia spesso rimane fuori dal reparto con emozioni miste e forti come l’ansia, la paura, la rabbia e la disperazione. Viene esclusa come se non facesse parte di quella situazione, di quel momento. Viene allontanata fino al momento del colloquio dove saprà se ha perso il suo caro o se invece può ancora sperare. Vive una sorta di abbandono a se stessa dove l’attesa la consuma e contribuisce a rendere ancora più drammatico l’avvenimento, quando invece sappiamo che il codice deontologico dell’infermiere rivolge la sua attenzione anche ai familiari.

Anche per questo nasce l’indagine: per capire cosa spinge i sanitari ad allontanare la famiglia durante le manovre di rianimazione.
Ringraziamo Giulia Ceccantini per aver condiviso le sua tesi con noi e soprattutto con voi. A questo link potete consultarla per intero: Tesi