Buongiorno cari colleghi. Non so voi, ma io ne ho piene le storie, e questo è il motivo della presente. Lavoro da oltre 25 anni nella sanità privata convenzionata e ho visto nel tempo diventare sempre più normali situazioni prima inaccettabili. Sto parlando in particolare della sfacciata prevaricazione delle nostre condizioni contrattuali; non si tratta, come potrebbe sembrare, di un problema formale, di burocrazia, numeri e percentuali, ma di un problema sostanziale con ricadute sulle nostre vite.In passato un ritardo di due anni nel rinnovo avrebbe provocato uno “stato di agitazione”. Un ritardo di cinque anni sarebbe stato inaccettabile e vergognoso.
Oggi aspettiamo il nuovo contratto da 11 anni, UNDICI ANNI, e pare normale avanzare al dodicesimo, una situazione a cui siamo assuefatti e forse rassegnati. Il gioco è sporco, e già lo conosciamo, perché ritardo significa arretrati che non verranno pagati, o saranno liquidati con una ridicola una tantum all’atto del rinnovo, un rinnovo che quando arriverà ci verrà venduto come una conquista e non come un diritto che ci è stato a lungo sottratto. Si tratta ormai di una decina di migliaia di euro che è stata negata ad ognuno di noi, e che ci spettavano. Io ne ho piene le storie, vi dicevo, perché non si tratta di numeri, ma di qualità di vita che ci viene truffata. Noi che già facciamo lo stesso identico lavoro dei nostri omologhi nel pubblico per una retribuzione più misera. Noi che vediamo tutto aumentare tranne il nostro stipendio. Noi che abbiamo rinunciato ad un viaggio o ad una vacanza con la famiglia perché non ci stavamo dentro, o che abbiamo trascurato salute o cure dentali personali per riuscire a far studiare i nostri figli. I nostri datori di lavoro, spesso eticissimi enti religiosi con la loro immagine patinata da mantenere, che vantano di avere “collaboratori” e non “dipendenti”, scientemente speculano sul nostro operato, nel non riconoscerci quanto è nostro diritto.
E noi ci troviamo impotenti, con i sindacati ormai poco più che inutili che di tanto in tanto ripresentano i soliti discorsi, che conosciamo a memoria, e strumenti di protesta o rivendicazione spuntati e frustranti.Io lavoro in psichiatria. Ad esempio uno sciopero da noi è acqua fresca, addirittura un favore più che un fastidio per il datore di lavoro, visto che i minimi di servizio devono essere garantiti per legge. Uno sciopero da noi non provoca alcun danno o irritazione, anzi, fa risparmiare la giornata di retribuzione per qualche operatore al datore di lavoro.Non so voi, ma io nei sindacati non ho più fiducia alcuna. Sono anni, anni e anni che sento parlare di contratto unico per pubblico e privato. Parole. Undici anni senza rinnovo contrattuale è un’indecenza per le parti datoriali, ma anche la certificazione di fallimento per i sindacati.Nutro qualche speranza di rinnovamento dalla politica, che negli ultimi anni è alle prese con una, finalmente praticabile, rivoluzione pacifica, ma nel frattempo voglio agire.Ci ho pensato a lungo e credo ci siano almeno due azioni che potrebbero, se intraprese su larga scala da tanti di noi scontenti della situazione, far cambiare le cose.
Uno: dire. Raccontare. Far conoscere. È un’ingiustizia, quella che subiamo, e farla conoscere colpisce i nostri datori di lavoro là dove fa male: nell’immagine. E allora lettere come questa, discussioni con i colleghi e fuori dal posto di lavoro, post sui social, condivisioni, lettere ai direttori dei giornali, flash mob, e ogni altro modo corretto, ma incisivo, che ci viene in mente per farci sentire. Un’insoddisfazione e un arrabbiatura che nascono da noi lavoratori, scavalcano il filtro ovattante dei sindacati e diventano una protesta che fa notizia.
Due: uno sciopero lungo, infinito e bianco. Un lavorare, cioè, rallentato e diluito dalla nostra protesta. Essere presenti sul luogo di lavoro, rispettare le nostre mansioni, salvaguardando in primis l’utenza dei nostri servizi, ma essere fisiologicamente in ritardo su tutto ciò che è accessorio, o burocrazia, rendicontazione, amministrazione. Devo pulire quattro ambienti stamani? Riuscirò a farne tre. Devo scrivere una relazione entro oggi? Sarà pronta, se riesco, per la settimana prossima. Devo inserire ogni intervento svolto nel portale di rendicontazione della regione? Non so se riuscirò a farlo: forse domani, rimandando quello di domani a dopodomani. Ricevo mail di comunicazioni interne? Le leggerò appena potrò.Immagino gli “imbuti”, i ritardi, le certificazioni di qualità messe in discussione, le ricadute che questa protesta potrebbe avere: altro che giornata di sciopero e manifestazione.
Dite che non è etico, non è professionale? Personalmente lo trovo un modo perfetto per manifestare il mio punto di vista: voi mi pagate all’80% di quanto mi spetta? E perché mai io dovrei essere efficiente al 100%? Sta a voi datori di lavoro essere giusti ed etici, noi lavoratori da 11 anni e più siamo corretti e stiamo subendo la vostra scorrettezza.Questa la proposta: denunciare e far conoscere ovunque la situazione vergognosa e attuare questa forma sotterranea di protesta ad oltranza, fino a che otterremo un equo contratto ed un onesto riconoscimento delle spettanze arretrate.
Funzionerà? Non lo so, ma lo potrà fare solo se sarà contagiosa, e magari arricchita da altre idee. Chi ci sta?Mentre scrivo sta finendo il 2018. Potremo capirne la potenzialità già dalla diffusione che questa lettera otterrà. Se andrà male, tutto resterà come ora. Se invece l’idea farà presa lo capiremo dal dibattito che ne scaturirà fra noi colleghi e fuori, dalla percezione di un reale stato di agitazione. Propongo, in questo secondo caso, il primo febbraio 2019 come data di avvio di una diffusa ed importante protesta dei lavoratori della sanità privata: SCIOPERO BIANCO AD OLTRANZA. Diffondiamo l’idea e parliamone.
Firmato: uno che vale uno.
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