L’inferno del Pronto soccorso di Avellino ancora una volta nell’occhio del ciclone. Ora insorgono gli infermieri. Mentre il manager del “Moscati”, Angeo Percopo, annuncia rinforzi, un gruppo di operatori è pronto a proclamare lo stato di agitazione e ad aprire una vertenza davanti al Prefetto: «Ormai si lavora in condizioni drammatiche». – denuncia a nome di alcuni infermieri il segretario provinciale del Nursind (sindacato infermieri) Romina Iannuzzi – Da mesi gli infermieri indirizzano segnalazioni alla direzione generale. Il punto, ovviamente, è l’insostenibile sovraffollamento del reparto. Una condizione ormai strutturale di mala sanità dalla quale – denunciano gli operatori – discendono una serie di gravissime criticità.
Il Nursind lamenta innanzitutto «l’assenza di un piano di gestione del sovraffollamento». «Altrove – dice Iannuzzi – esistono indicatori di allarme legati ad esempio al numero delle barelle e a dei letti». Al “Moscati” esisterebbe solo un parametro, legato allo sforamento dei 150 accessi massimi in 24 ore.
Il dato, assolutamente esorbitante, non si raggiunge mai. Ma gli accessi, come è noto, sono altissimi e si scontrerebbero con quello che gli operatori lamentano come un «grave deficit informativo». Tra i 60 e gli 80 al giorno, circa 30.000 in un anno, con picchi proprio in questo periodo per le influenze stagionali.
Al Prefetto gli infermieri riporteranno prima di tutto la «grave carenza di personale». «Secondo la Regione – spiega Iannuzzi – un Dea di Secondo livello dovrebbe avere 30 operatori. Invece siamo 26. Di questi, 2 sono impiegati prevalentemente nella parte ortopedica e altri 4 sono interinali con una riduzione oraria». Per questo, gli operatori sono impiegati ben oltre le 150 ore al mese. «Straordinari e pronte disponibilità sono la regola». – continua – Nei mesi scorsi, per la verità, la direzione aziendale aveva anche disposto la mobilità d’urgenza dagli altri reparti in caso di necessità. Nei fatti questo soccorso non ci sarebbe mai.
Emblematico il caso del triage. L’addetto è uno solo. E dovrebbe essercene almeno un altro: «L’unico operatore impiegato è costretto ad un lavoro esorbitante, e molto spesso non riesce a svolgerlo in pieno». I codici assegnati, infatti, vanno rivalutati continuamente, per evitare – ad esempio – che un giallo possa aggravarsi ed attendere impropriamente. «Ma questa rivalutazione – continua Iannuzzi – non può avvenire, perché c’è un solo operatore».
In queste condizioni, aumenta il rischio di eventi avversi. Sia a danno dei pazienti che degli operatori. Per i secondi, mancherebbe anche un piano per i tempi di permanenza medi e massimi. «Nella sala medica – denuncia ancora il Nursind c’è uno spazio che potrebbe ospitare 8 postazioni. A volte si arriva a 22. E in casi straordinari si è giunti a 38. Il tutto, con due medici per turno». Al di là della promiscuità tra i pazienti, anche di sesso diverso, c’è un tema che riguarda ovviamente i lunghissimi tempi di attesa.
«Secondo le linee guida del Ministero, un paziente dovrebbe andare nel reparto al massimo dopo 8 ore. Ma qui è successo che alcuni pazienti siano stati qui fino a 15 giorni». La denuncia ha dell’inverosimile.
Queste istanze, dunque, sono pronte per essere consegnate al Prefetto. «Il problema vero – sentenzia i sindacato – non è dato dagli accessi, ma dall’assenza della giusta organizzazione. Più personale infermieristico, un piano di gestione del sovraffollamento, letti aggiuntivi nei reparti, sono provvedimenti non più rinviabili. E poi l’attivazione anche pomeridiana dell’ambulatorio per i codici bianchi e verdi, voluto dal nuovo primario».
Almeno al momento, nemmeno l’accorpamento con l’ospedale di Solofra ha sortito effetti. «I medici propongono ai pazienti il trasferimento, ma loro lo rifiutano perché sanno che quell’ospedale è depotenziato. Ormai – chiosa Iannuzzi – si lavora in condizioni drammatiche».