Non è possibile rifiutare o interrompere l’assistenza soprattutto in tutte quelle condizioni di perdita di autonomia e di necessità di un supporto compensativosostitutivo da parte dell’infermiere. Anche quando il paziente potrà decidere di interrompere o sospendere qualsiasi trattamento gli infermieri continueranno ad esserci e a prendersi cura di lui.
Questo il presupposto su cui si basa un vademecum che sarà presto diffuso dalla Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche, il maggiore d’Italia con oltre 450mila iscritti e un corso di formazione continua specifico organizzato sempre dalla FNOPI su cure palliative e assistenza al fine vita.
Il motivo: gli infermieri sono i professionisti che spendono più tempo accanto a pazienti e alle famiglie nei diversi contesti di cura (residenziali, ospedalieri, domiciliari) e questo offre loro l’opportunità di saper e poter cogliere le tante sfumature degli innumerevoli problemi di salute che condizionano la vita di una persona e sulle sofferenze che possono generare, hanno una relazione di continua vicinanza con la persona assistita, in modo specifico in tutte quelle situazioni in cui la stessa non è più in grado di soddisfare i propri bisogni autonomamente, non soltanto perché fisicamente fragile ma spesso anche quando non è più in grado di attribuire a questi atti un senso e uno scopo esistenziale (volontà e conoscenze).
In questi momenti l’Infermiere informa, coinvolge, educa e supporta l’interessato e con il suo libero consenso, le persone di riferimento, per favorire l’adesione al percorso di cura e per valutare e attivare le risorse disponibili5. Riconosce e promuove il valore dell’informazione integrata e multiprofessionale e si si inserisce infatti nel processo del consenso informato assicurandosi che l’interessato o la persona da lui indicata come riferimento, riceva informazioni sul suo stato di salute precise, complete e tempestive, condivise con l’equipe di cura, nel rispetto delle sue esigenze e con modalità culturalmente appropriate6.
“Nell’articolo 3 del nostro nuovo Codice deontologico, da poco approvato – spiega la presidente FNOPI Barbara Mangiacavalli – , richiamiamo gli infermieri alla responsabilità del curare e prendersi cura della persona, nel rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza, delle sue scelte di vita e concezione di salute e benessere: l’infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza e si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari, tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità di vita espressa anche in forma anticipata”.
Nel vademecum che sarà presto distribuito si spiega che gli infermieri sono coinvolti nell’identificazione, valutazione e monitoraggio delle forme di sofferenza del paziente non solo intese come dolore fisico ma anche come sofferenza globale ed esistenziale. Il dolore è considerato un parametro vitale, in quanto la sua presenza modifica le condizioni fisiche e psichiche della persona, di conseguenza le reazioni alla malattia. Come tale va valutato costantemente, devono essere utilizzati strumenti validati e il processo deve essere documentato.
L’assistenza infermieristica di qualità è tale se aumenta la dignità delle persone; se ne mantiene lo sviluppo e promuove il sostegno emotivo e il comfort, in modo da migliorare la qualità della vita delle persone assistite e creare un clima favorevole alle cure.
Gli infermieri sono coinvolti a pieno titolo nel processo assistenziale per identificare e comprendere i valori e le preferenze dei pazienti per definire insieme obiettivi e strategie di trattamento e cura futuri. Sebbene sia esplicitamente definita la responsabilità medica nella possibilità di definire un piano condiviso delle cure, è necessario evidenziare il ruolo e la partecipazione all’interno di questo processo decisionale dell’intera equipe interprofessionale che si occupa del paziente, delle famiglie dei loro bisogni.
Im base a questo propongono anche per questo tipo di assistenza la pianificazione condivisa delle cure, un processo decisionale condiviso in cui le decisioni relative alle cure vengono prese da un medico eo da una équipe di professionisti, dal paziente o dal suo famigliarefiduciario.
La filosofia di fondo è quella di rimuovere la tradizione della pratica medica paternalistica che presuppone che il medico conosca le migliori decisioni da prendere per il bene della persona, e creare un modello in cui i pazienti siano partner responsabili nelle decisioni relative alla loro cura. Il concetto di pianificazione condivisa delle cure presuppone quindi la condivisione delle competenze e conoscenze tra sanitari e paziente stesso; questo processo valorizza l’incontro e l’integrazione di diverse competenze: quelle “scientifiche” che medici, infermieri e l’intero team assistenziale possono mettere a disposizione delle persone e quelle “personali ed individuali” dei pazienti stessi che rispecchiano la loro storia di vita, i loro desideri, preferenze, obiettivi. Nella pianificazione condivisa delle cure, l’incontro di queste competenze fa sì che insieme ci si assuma la responsabilità per portare avanti il processo assistenziale equilibrando in modo equo la necessità di condividere le decisioni, l’impostazione degli obiettivi e la valutazione costante e progressiva dei risultati raggiunti quotidianamente con la persona e la famiglia.
Questo processo necessita di tempo, per la comunicazione, la cura e per una sua buona pianificazione. Questo tempo è uno spazio che gli infermieri devono poter ritrovare nel percorso del “prendersi cura”. Quotidianamente ogni singolo atteggiamento, gesto o attività che si compie “con”,” per” e “sul” paziente permette agli infermieri di entrare in connessione con gli aspetti più intimi e personali che riguardano la storia, non solo clinica, di ogni singola persona. La relazione di cura e spesso di fiducia che “nell’assistere” gli infermieri instaurano, è un’opportunità che diventa un importante mezzo e strumento per identificare quali sono le preoccupazioni dei pazienti e quali gli obiettivi che vorrebbe raggiungere.
Anche per questo il nuovo Codice parla chiaro in una delle sue principali innovazioni: “Il tempo di relazione è tempo di cura”.