“…lo dico a nome del Governo, ma sono sicuro che tutti i membri del Parlamento possano ritrovarsi in quest’impegno, non ci dimenticheremo di voi e di queste giornate così rischiose e stressanti… “
E’ con queste parole che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, attraverso l’informativa in aula alla Camera del 25 marzo, si rivolge agli infermieri impegnati in prima linea nell’emergenza Covid.
Ma cosa vuol dire concretamente non dimenticarsi degli infermieri?
Significa innanzitutto prendere realmente coscienza della gravità del dato del numero dei contagi degli operatori sanitari: 7.763 al 28 marzo. Di questi quasi 4.000 sono infermieri.
Rendersi conto che se siamo arrivati a questo punto è perché c’è stata, e continua ad esserci, una falla enorme per quanto riguarda la messa a disposizione dei dispositivi di protezione individuali (DPI), senza considerare il fatto che all’aumentare del contagio di operatori e cittadini, si è continuato a dibattere sull’eventuale opportunità o meno di fare i tamponi a tutto il personale sanitario.
Tamponi e DPI
Non dimenticarsi degli infermieri vuol dire decidere ora di fare tamponi e garantire a tutti la piena disponibilità di DPI.
Non dimenticare, vuol dire tenere bene a mente il numero 23. A tanto ammonta sinora il numero degli infermieri deceduti a causa del Covid, di cui 2 suicidi. Riflettere sui perché di tutto questo è un imperativo categorico. Cosa è successo, cos’è mancato? Cosa ne sarà delle loro famiglie? Lo Stato sarà al loro fianco? Se si, come? E ancora. Perché il supporto psicologico per infermieri, medici e per gli altri operatori sanitari rappresenta ancora la cenerentola del SSN? Eppure ogni giorno sono faccia a faccia con la morte, e in mezzo a mille difficoltà sostengono anche i familiari dei tantissimi pazienti deceduti. E quando il numero dei pazienti è troppo elevato rispetto alla disponibilità di posti letto in terapia intensiva e alla quantità di ventilatori disponibili, come lo è attualmente soprattutto in alcune aree del paese, chi sostiene quotidianamente i professionisti nell’esercizio del loro lavoro e delle loro scelte sempre più difficili? Il rischio è il crollo psicologico, un rischio che non possiamo permetterci.
Indennità di rischio che non ci sono
Non dimenticarsi degli infermieri vuol dire ricordarsi dei molti infermieri contagiati, costretti alla quarantena, che devono sostenere di tasca propria le spese di alloggio, peraltro difficile da trovare per la paura del contagio, presso il quale si devono necessariamente appoggiare. Stessa situazione per quegli infermieri che responsabilmente, per non rischiare di infettare i propri figli e tutti i loro cari, decidono di affittare un appartamento a loro spese. Lo Stato deciderà di restituire agli infermieri una parte di queste spese?
Leggere le dichiarazioni di alcuni interlocutori che già provano a mettere le mani avanti sul possibile nesso di causalità tra l’esercizio professionale degli infermieri (come degli altri operatori della sanità) e il contagio da coronavirus sul luogo di lavoro, come a dire che un infermiere senza DPI durante il suo turno di lavoro è assolutamente certo che abbia contratto il virus a casa sua, è un’offesa al valore e al contributo che gli infermieri insieme a tutti gli altri professionisti sanitari stanno mettendo a disposizione del Paese e dell’attuazione dell’art. 32 della Costituzione. Allora non scordarsi di tutti loro signor Presidente del Consiglio vuol dire mettere a tacere, ora, qualunque dubbio sull’origine del contagio degli infermieri, perché sotto gli occhi di tutti. Vuol dire, che subito dopo l’emergenza sarà necessario dare un segnale concreto di vicinanza dello Stato.
Superata la pandemia torna la carenza
Superata l’emergenza coronavirus ci sarà una nuova grande emergenza: la gestione di tutte le prestazioni sanitarie annullate/rinviate in questi mesi (esami, visite, interventi) e la presa in carico delle cronicità, che in questo periodo stanno pagando un costo altissimo derivante dall’impreparazione del nostro sistema rispetto all’emergenza.
E allora la grande questione della carenza del personale infermieristico, che oggi stiamo vivendo in tutta la sua drammaticità, dovrà tornerà ancora più a bomba.
Infatti, l’attuale carenza complessiva è di oltre 20mila unità di infermieri per poter fare fronte alle necessità legate al rispetto della normativa europea su turni e orari di lavoro nelle strutture del SSN e di oltre 30mila unità per rendere efficiente l’assistenza sul territorio; tra cinque anni la carenza complessiva potrebbe attestarsi a quasi 70mila infermieri.
Pochi infermieri: lo dicono anche a livello internazionale
Il numero di infermieri in Italia per mille abitanti resta tra i più bassi dei 35 paesi considerati nel Rapporto OCSE 2018 (confermato anche nel 2019), come basso è anche il rapporto medici/infermieri.
Ogni volta che si assegna 1 assistito in più a un infermiere (il rapporto ottimale sarebbe 1:6) aumenta del 23% l’indice di burnout, del 7% la mortalità dei pazienti, del 7% il rischio che l’infermiere non si renda conto delle complicanze a cui il paziente va incontro.
Ricordarsi degli infermieri vorrà dire mettere in campo un grande piano assunzionale per mettere in sicurezza il SSN e la salute dei cittadini. Bisognerà fare meglio e molto di più rispetto a quanto si è fatto con i recenti decreti emergenziali, dove si finanzia prevalentemente il lavoro straordinario e quello autonomo e occasionale. E’ il caso dei 100 infermieri INAIL assunti attraverso contratti co.co.co. Una scelta che stona decisamente con le dichiarazioni roboanti di alcuni politici sul ruolo di eroi di infermieri e medici, una scelta che va rivista.
Ufficio parlamentare di Bilancio: a fine emergenza necessario riassetto strutturale
Come ha ricordato l’Ufficio Parlamentare di Bilancio “Alla fine dell’emergenza si porrà la questione di un generale riassetto strutturale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e di una riprogrammazione del personale, anche sulla base dell’esperienza accumulata, mirati a consolidarne le capacità di affrontare le 3 condizioni ordinarie di domanda e garantire un margine di manovra per la gestione delle criticità epidemiologiche inattese”.
Adeguare le retribuzioni
Infine, ricordarsi degli infermieri vuol dire ricordarsi che, come recentemente sottolineato da Marco Leonardi (consigliere economico del MEF) in una recente articolo, la professione infermieristica è al contempo un lavoro essenziale ma purtroppo pagato poco: circa 33mila euro lordi annui in Italia a fronte dei 41 mila della Germania e degli 83mila dei Paesi Bassi.
Una retribuzione decisamente non coerente con il livello di professionalità, di responsabilità, di percorso di studio e con il valore della professione infermieristica per la comunità.
Tutto questo, e tanto altro ancora, vuol dire non dimenticarsi degli infermieri, nella certezza che al contrario gli infermieri mai si sono dimenticati e mai si dimenticheranno della salute e dei diritti dei loro pazienti. E lo dimostra la risposta all’ordinanza della protezione civile #INFERMIERIPERCOVID: nonostante ognuno di loro sia al lavoro (tra gli infermieri c’è tanta carenza e poca disoccupazione) hanno risposto alle 20 di ieri sera in 9.448. Questi sono gli infermieri.
Di Tonino Aceti, Portavoce Federazione Nazionale Ordini Infermieri