Dopo una lunghissima giornata di lavoro, una delle tante, nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Lucca, Damiana Barsotti, infermiera di 48 anni, è tornata a casa sfinita. Poi arrivata a casa la madre le ha dato un biglietto che aveva trovato nella cassetta della posta. Iniziava con un grazie, ma non erano parole di augurio o di incoraggiamento. «Grazie per il Covid che tutti i giorni ci porti in corte. Ricordati che ci sono anziani e bambini. Grazie», c’era scritto. La corte è un agglomerato di una decina di case a Massa Macinaia, una frazione di Capannori, in provincia di Lucca dove l’infermiera vive con il marito Gabriele disoccupato da un anno e tre figli Arianna 20 anni, Matteo 18 e Daniele 15 anni. «Quando l’ho letto è stato come una pugnalata alla schiena, mi sono sentita tradita, intimidita, trattata come gli untori – racconta Damiana -. Da quanto ero depressa non mi sono neppure arrabbiata. Però, poi, ho deciso che era mio dovere fare qualcosa e ho chiamato i carabinieri».
I militari sono arrivati a casa. Hanno redatto un verbale, hanno espresso solidarietà all’infermiera e le hanno detto di passare da loro per sporgere denuncia, l’unico modo per far partire le indagini. Sospetti? «Certo che ce l’ho e non è difficile capire da dove è arrivato quel biglietto – risponde -. Però adesso me li tengo per me. Prima devo elaborare psicologicamente questa offesa che ha trafitto i miei sentimenti». Damiana non si è mai tirata indietro in questi giorni di emergenza. Ha lavorato 13 ore al giorno, raddoppiato le notti, è stata in costante contatto con i malati di Covid-19 che non ha solo curato clinicamente ma anche nello spirito. «Tanti si confidano, ti chiedano la mano, una carezza, buone parole — racconta —. E tu anche se sei stanchissima lo fai volentieri. Io non ho mai voluto essere chiamata eroe, faccio solo il mio dovere insieme ai colleghi, ai medici e a tutti gli operatori sanitari. Però essere trattata così, come un’appestata, no, questo non lo accetto». L’infermiera sta ricevendo una raffica di messaggi di solidarietà . Da colleghi di lavoro, amici ma anche persone sconosciute. E dai vicini di casa? «Neppure una parola, neppure un sorriso», risponde sconsolata.
Ti capisco, anch’io infermiera a milano e mi è capitato di essere accusata da un paziente ricoverato nel nostro reparto Covid di essere trattata come te, nonostante ricevesse le cure da parte di tutto lo staff. Ci accusava di averlo contagiato
Sono rimasta basita