COVID-19 è un’emergenza non solo di salute, ma anche di relazione.
Quella che manca ai pazienti in terapia intensiva e nelle corsie degli ospedali, ma anche a casa in isolamento, dove sono soli con la loro malattia e il loro dolore che troppo spesso ha avuto e ha esisti infausti.
L’assistenza è la prima cosa: il paziente deve guarire. Ma non è l’unica azione in cima alla lista delle priorità nella pandemia: qui davvero, come è scritto nel Codice deontologico delle professioni infermieristiche, il tempo di relazione è tempo di cura. Anche se la carenza di organici e le necessarie protezioni individuali hanno messo a dura prova la vicinanza con gli assistiti.
Gli infermieri non si sono arresi e lo hanno dimostrato con forza nelle evidenze del girone infernale coronavirus che non ha risparmiato le persone colpite, ma nemmeno chi di loro si è preso cura. Tra gli infermieri 40 decessi e circa 13mila contagi ne sono la prova.
E ora lo ribadiscono, nella diciannovesima giornata del Sollievo che quest’anno, il 31 maggio, segna il decimo anniversario della legge sulle cure palliative 38/2010 e che mai come quest’anno ha senso rilanciare.
Nel corso degli anni, considerando i bisogni concreti delle persone malate e sofferenti, l’obiettivo della Giornata è andato ampliandosi, abbracciando quasi tutte le condizioni di malattia ed esistenziali, pur mantenendo un posto di rilievo la fase terminale della vita.
“Quel che importa, sia durante la vita, sia di fronte alla morte, è non sentirsi abbandonati e soli”, scrisse il giornalista Gigi Ghirotti a cui è intitolata la Fondazione nazionale promotrice della Giornata del Sollievo con il Ministero della Salute e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, e con il sostegno dell’Ufficio per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana.
E gli infermieri non lasciano solo mai nessuno in nessun momento della vita e del bisogno e la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), indica i presupposti che i suoi professionisti seguono per affrontare il dolore e aiutare i pazienti.
Gli infermieri hanno fissato cardini chiari al loro intervento, a cui non sono mai venuti meno.
- L’infermiere previene, rileva e documenta il dolore dell’assistito durante il percorso di cura. Si adopera, applicando le buone pratiche per la gestione del dolore e dei sintomi a esso correlati, nel rispetto della volontà del paziente.
- Il dolore è un sintomo con cui gli infermieri si confrontano ogni giorno in qualsiasi setting assistenziale. Il dolore, che coinvolge la persona assistita, spesso, da sintomo, si trasforma in vera e propria malattia: questo va evitato se si può.
- L’esperienza di dolore dovrebbe essere sempre identificata e interpretata come sofferenza globale. Gli infermieri conoscono bene quanto il dolore possa coinvolgere e influenzare negativamente il soddisfacimento dei bisogni di una persona, la sua autonomia, il vissuto della malattia, i rapporti e le relazioni con gli altri, il proprio stato emotivo, la propria qualità di vita.
- Gli infermieri comprendono e gestiscono il dolore della persona che assistono nella sua complessità caratterizzata non solo dalla sua natura multidimensionale (quella fisica, prettamente nocicettiva, quella psicologica, sociale, emozionale e spirituale) ma anche dalle infinite modalità con cui queste stesse dimensioni influenzano l’esperienza della sofferenza globale percepita in maniera del tutto soggettiva ed individuale.
- La complessità che caratterizza il dolore è spesso aggravata, soprattutto nella pandemia, all’incapacità delle persone assistite di distinguere esattamente quale componente sta causando dolore, perché tutto ciò che possono esprimere è che “stanno male”. In queste situazioni gli infermieri si impegnano prima di tutto a riconoscere il dolore e la sofferenza come esperienza soggettiva, considerandola “tutto quello che una persona che lo prova dice che sia, esistendo ogni qualvolta si affermi che esista”.
- L’impegno è nel prevenire ogni forma di dolore e sofferenza. Il dolore non è sempre e solo causato da una malattia o da un problema di salute. Spesso può essere provocato o peggiorato da interventi diagnostici, terapeutici e assistenziali, invasivi e non, che si effettuano quotidianamente con e sulle persone che si assistono in qualsiasi contesto di cura.
- L’attenzione in COVID-19 si fa necessariamente alta e l’infermiere è l’interlocutore essenziale delle persone assistite, per garantire quel sollievo che sembra ancora così difficile da ottenere.
- Per tutto questo vanno riorganizzati i percorsi. E la formazione del personale rispetto all’area intensiva e al rischio infettivo sono di matrice infermieristica. L’adozione di protocolli operativi a tutela di équipe e persone, che possano essere riprodotti in sicurezza, sono un dovere professionale: l’apporto clinico, consulenziale e organizzativo vede la professione infermieristica lucida e competente, come parte integrante e proattiva del sistema.
“Bisogna investire per far diventare permanente la percezione sociale del ruolo dell’infermiere, fatta anche del contenuto etico della professione”, afferma la presidente FNOPI, Barbara Mangiacavalli.
Ma non finisce qui. L’infermiere infatti presta assistenza infermieristica, è accanto al malato, fino al termine della vita della persona assistita.
Riconosce l’importanza del gesto assistenziale, della pianificazione condivisa delle cure, della palliazione, del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale e spirituale.
L’infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento della persona assistita nell’evoluzione finale della malattia, nel momento della perdita e nella fase di elaborazione del lutto.
La presenza degli infermieri è garantita durante l’intero percorso di vita di una persona, dalla nascita fino al termine della vita. L’assistenza che gli infermieri offrono nella parte finale di questo percorso ha lo scopo di continuare a valorizzare la vita e preservare la dignità della persona anche se la morte è un evento atteso.
Il valore della professione infermieristica non deriva semplicemente dall’insieme dei gesti tecnici che gli infermieri svolgono, ma dalla relazione che veicola ogni gesto di cura e dal senso che ne deriva.
Per questo i gesti di cura, di assistenza che gli infermieri quotidianamente offrono possono fare la differenza. Racchiudono un valore ancora più prezioso: diventano il mezzo attraverso cui è possibile contribuire a restituire o a far riscoprire il senso e il significato del tempo che rimane, valorizzando ogni singolo momento che può continuare a riempirsi di vita.