Nella giornata contro la violenza sulle donne l’allarme che lanciano gli infermieri è doppio: da un lato, come tutti, quello del numero ancora altissimo di donne che subiscono violenza e, che nella pandemia con le condizioni dei lockdown è anche spesso peggiorato.
Ma dall’altro quello che la Federazione degli ordini delle professioni infermieristiche denuncia ormai da tempo: le infermiere in Italia sono il 79% dei professionisti e oltre ai rischi legati alla violenza nell’ambiente di vita, corrono anche quelli nell’ambiente di lavoro.
L’89% è stato vittima di violenza sul lavoro – situazione che nella prima fase della pandemia si era placata, ma che purtroppo ha ripreso vita al calo dei contagi e ora è stazionaria – che nel 58% dei casi è stata violenza fisica. Il che vuole dire che hanno subito violenza in generale sul posto di lavoro circa 180mila infermiere e per oltre 100mila si è trattato di un’aggressione fisica.
“Circa la metà degli infermieri in servizio secondo le rilevazioni dell’INAIL subisce aggressioni ogni anno – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) – e di questi la stragrande maggioranza sono donne. Oggi purtroppo, nonostante le evidenze emerse durante la pandemia, si stanno affermando messaggi culturali che inducono la popolazione a coltivare una rabbia crescente verso gli operatori delle strutture. A questo concorrono le notizie spesso scandalistiche sui servizi sanitari, che creano a priori un’aspettativa negativa nei confronti dei servizi, che a sua volta fomenta la frustrazione e la rabbia e mina il rapporto di fiducia tra cittadini e operatori”.
“E’ importante – prosegue – che si preveda accanto alle pene per le aggressioni anche una formazione continua, obbligatoria e mirata, e fin dal percorso di laurea, degli operatori sugli aspetti della comunicazione, di adeguate tecniche di de escalation e della relazione terapeutica nei confronti delle persone assistite. È importante che le infermiere sappiano cogliere tutti i segnali premonitori di un atto di violenza, sappiano come mitigare e contenere la loro evoluzione, sappiano come proteggersi preventivamente e possano comunicare con fermezza agli utenti, agli accompagnatori e al personale che gli atti di violenza non sono permessi o tollerati”.
“E si dovrebbero prevedere – aggiunge la presidente FNOPI – pene anche più severe per chi aggredisce verbalmente e fisicamente un professionista sanitario donna sul luogo di lavoro, prevedendo l’aggravante del pericolo che nell’azione possono correre gli assistiti. Ma si devono anche prevenire le aggressioni non fisiche regolamentando ad esempio l’uso dei social nei luoghi di lavoro e rispetto all’attività professionale per evitare commenti, furti di identità e proposte inappropriate: ne sono vittima circa il 12% dei professionisti coinvolti che nel caso delle infermiere sono per il 78% e in alcune Regioni si supera il 90 per cento.