Turnover ed Intent to leave: 2 fenomeni in continua evoluzione

L’intent to leave e il turnover sono due fenomeni legati e sono uno la conseguenza dell’altro. In questa sede per turnover si intende il trasferimento volontario o le dimissioni del personale infermieristico dalla posizione di lavoro primaria attuale (Jones, 1990; O’Brien-Pallas, Murphy, Shamian, 2010; North et al., 2013). Tale fenomeno risulta uno dei problemi principali nel Sistemi Sanitari di tutto il mondo poiché formare un professionista richiede un considerevole impegno di risorse, siano esse umane, per quanto riguarda l’affiancamento ad altri professionisti senior, la costruzione di un team, i rapporti affettivi che il professionista stringe all’interno del posto di lavoro, siano esse pecuniarie, dal reclutamento alla formazione sino al mantenimento delle competenze. I costi del turnover risultano cospicui e gravano sul bilancio aziendale. Gli studi negli ultimi anni hanno approfondito le dimensioni e l’impatto dell’intent to leave che indica il proposito di lasciare la propria organizzazione a favore di un’altra.

I fattori che influenzano tale processo sono molteplici e sfaccettati, e sono connessi a diversi aspetti della persona intesa come essere umano e come professionista. Come viene messo in evidenza nello studio di Burmeister et al. (2019) il tasso di personale che ha intenzione di chiedere il trasferimento è molto variabile anche se il problema viene rilevato in ogni Paese e i fattori predisponenti sono pressochè gli stessi. Il tema verrà trattato attraverso quattro dimensioni:
– Descrizione e dimensione del fenomeno;
– Cause del turnover, intent to leave e intent to stay;
– Analisi dei costi sostenuti;
– Conseguenze del turnover.

Descrizione e dimensione del fenomeno

Per turnover la definizione più utilizzata è: “il processo per il quale il personale infermieristico esce o si trasferisce all’interno dell’organizzazione” (O’Brien-Pallas et al., 2006). Esistono quattro dimensioni del turnover: volontario ed involontario, evitabile e non evitabile (Kovner, 2014). Si parla di turnover volontario ed evitabile quando un infermiere inizia il lavoro in un’altra Unità, di turnover volontario e non evitabile quando viene promosso ad una posizione superiore; si definisce turnover evitabile involontario quando l’infermiere non ha una buona performance ma con una ulteriore formazione potrebbe essere trattenuto ed infine di turnover involontario non evitabile quando l’Unità di appartenenza viene chiusa e l’infermiere è destinato ad altra Unità.

Alcune organizzazioni includono solo il turnover volontario, altre invece solo coloro i quali lasciano per un’altra posizione, escludendo chi va in pensione o lascia il lavoro per dedicarsi a studi ulteriori. La letteratura è coerente nell’inclusione del licenziamento dei novizi da parte del datore di lavoro come turnover involontario. Per altre motivazioni, invece non vi è accordo: alcuni autori, infatti, classificano il pensionamento o il trasferimento in un’area geografica diversa come turnover involontario. La stabilità della forza lavoro è un concetto legato al turnover: se un elevato turnover è dato dai nuovi assunti la forza lavoro delle organizzazioni mantiene la sua stabilità, mentre se infermieri esperti lasciano l’organizzazione, il gruppo di lavoro è da considerarsi instabile (Castle et al., 2006).
Il turnover può essere inoltre concettualizzato come una variabile intermedia, che ha un effetto di mediazione tra gli input e gli output di sistema (O’Brien-Pallas, 2010).

Per quanto attiene alla dimensione del fenomeno, i tassi di turnover non sono coerenti tra gli studi. Secondo Kovner et al. (2014), gran parte della differenza è dovuta a diversità nelle definizioni delle misurazioni, nel campione e nei tassi di risposta da parte degli infermieri. Secondo Silvestre et al. (2017) le ragioni per lasciare il posto di lavoro comprendono il trasferimento verso un’altra regione/stato; il ritorno all’università per proseguire la formazione in ambito infermieristico; la natura stressante del lavoro; il cambio di posizione lavorativa all’interno della professione infermieristica in ambito clinico o non clinico; dedicare maggiore tempo alla famiglia o altri motivi personali; la necessità di cure mediche; la risoluzione del contratto da parte del datore di lavoro per giusta causa.

Cause del turnover, intent to leave e intent to stay

Ci sono molte relazioni ed effetti di mediazione tra le variabili legate al turnover: i ricercatori continuano per sottolineare l’importanza della soddisfazione sul lavoro nell’infermiere che ha intenzione di cambiare lavoro, dimostrando una maggiore significatività rispetto ad altri predittori quali età, lavoro notturno e avanzamento di carriera (Hayes et al., 2011; Applebaum et al., 2010; Ma et al., 2009; Zurmehly et al., 2009). La comunicazione per Hayes et al. (2011) gioca un ruolo fondamentale: i manager infermieristici dovrebbero essere buoni leader, rapportandosi con il personale e fornendo lodi e riconoscimenti (Duffield et al., 2014). Un management supportivo implica la promozione della comunicazione e la promozione del lavoro di gruppo. In uno studio in ambito ospedaliero, Apker et al. (2009) hanno scoperto che gli infermieri hanno meno probabilità di lasciare il lavoro o l’organizzazione se sono membri di team in cui si applica una comunicazione sinergica.

Di norma, il dipendente si muove da un ospedale medio-piccolo verso uno più grande e situato più centralmente (Shin et al., 2020) per comodità e perché, di solito, le strutture grandi offrono più formazione, più crescita professionale e più specialità cliniche nelle quali lavorare. Si è stimato che lo stress lavorativo induca un intent to leave tra il 25% e il 33% dei casi (Siket et al., 2020): l’ambiente lavorativo, una buona organizzazione del lavoro e un contingente adeguato influiscono sull’intenzione di cambiare posto di lavoro.

Nel contesto italiano i Coordinatori e, più in generale tutti i livelli intermedi di comando, sono spinti a lasciare il loro ruolo se l’organizzazione adotta una politica di poca inclusività e di poco coinvolgimento nelle scelte aziendali e nella gestione (Siket et al., 2020). È stata appurata, inoltre, la correlazione tra ambiente di lavoro, intent to leave ed esaurimento emotivo, definito come un processo per cui un individuo si sovraccarica dal punto di vista emotivo, sentendo come proprie le emozioni di altri, sviluppando un sentimento di impotenza (Hamann & Gordon, 2000). Il fattore umano, inteso come risvolto psicologico del lavoratore, è fondamentale poiché il burnout e la soddisfazione lavorativa incidono in maniera importante sul benessere del singolo e, di riflesso, su quello del gruppo di lavoro. Alcuni autori (Rutledge et al., 2018) delineano uno schema nell’intent to leave del singolo: inizialmente il professionista chiede di cambiare unità operativa, successivamente si trasferisce in un’altra azienda e, infine, lascia la professione. È fondamentale che questo schema venga tenuto presente nelle politiche di gestione del personale poiché delinea con chiarezza quanto il malcontento del singolo sia dannoso per il singolo in primis, per l’organizzazione e per l’intera società.

L’intent to stay è il concetto opposto all’ intent to leave ed esprime la volontà del singolo di rimanere all’interno dell’organizzazione, è legato al concetto di workforce engagement che misura il grado di coinvolgimento dei dipendenti nella cultura aziendale e riflette la percezione degli infermieri rispetto al loro lavoro (Rutledge et al., 2021). Il workforce engagement è influenzato sostanzialmente da quattro fattori: la soddisfazione lavorativa, la sensazione di gioia e di significatività del lavoro, la fatigue occupazionale e l’essere esposti a comportamenti non professionali nell’ambiente di lavoro (Rutledge et al., 2021).

Analisi dei costi sostenuti

Per costi diretti del turnover infermieristico si intendono i costi di reclutamento, assunzione e sostituzione temporanea, mentre i costi indiretti comprendono l’orientamento, il licenziamento e la diminuzione della produttività fino a quando gli infermieri neoassunti diventano pienamente autonomi e produttivi (Roche et al, 2015).
Gli studi presi in esame riportano costi molto differenti, al punto che risulta difficile definire quali siano le componenti più onerose. Verranno di seguito elencati alcuni risultati significativi.

Secondo uno studio di Duffield et al. (2014) il tasso di turnover infermieristico in Australia (15,1%) è stato inferiore a tassi riportati altrove. La Nuova Zelanda ha riportato il tasso più alto al 44,3% (North et al. 2013), seguito dagli Stati Uniti (26,8%; Jones, 1990) e Canada con il 19,9% (O’Brien-Pallas et al. 2010). Negli studi analizzati, i costi totali del turnover variano da un range minimo di 20.561- 23.711 dollari negli Stati Uniti, Nuova Zelanda a un valore massimo di 48.790 dollari in Australia. Hayes et al. (2011) hanno condotto una review basata su dieci studi, otto dei quali erano stati effettuati in contesti ospedalieri per acuti, otto negli USA, uno in Australia e uno in Canada. La revisione ha riportato costi del turnover per ogni infermiere che vanno da 10.098 a 88.000 dollari ed un costo totale del turnover che va da 0,55 milioni a 8,5 milioni di dollari.

L’orientamento e la formazione dei nuovi assunti sono state indicate come le più onerose categorie di costi relativi al turnover totale degli infermieri. Diversi studi hanno inoltre rilevato gli elevati costi delle posizioni vacanti, definiti solitamente come i costi delle sostituzioni temporanee, includendo anche costi più ampi, quali quelli di differimento del paziente e di produttività.

Gli autori notano la difficoltà di interpretazione e generalizzazione degli studi primari inclusi a causa della variabilità nella concettualizzazione e misurazione del turnover, in periodi di tempo diversi e in luoghi diversi. Secondo North et al. (2013) in Nuova Zelanda i costi inclusi sono quelli relativi alla perdita di produttività dei nuovi dipendenti e al tempo necessario per l’affiancamento e l’apprendimento, oltre a quelli di reclutamento e assunzione. Viene indicato anche che l’83% degli infermieri che giungono in sostituzione sono reclutati dall’esterno dell’organizzazione. Si tratta di un mix di neolaureati, di infermieri formati all’estero e neoassunti provenienti da qualsiasi altra parte della Nuova Zelanda. Concorrono all’elevato costo del turnover anche l’orientamento e la formazione dei nuovi dipendenti, oltre ai costi di produttività perduta.

Questi costi variano notevolmente in ragione della categoria del nuovo dipendente, che riflette l’esperienza infermieristica e la familiarità con l’organizzazione, con il massimo delle perdite di produttività subite dalle due categorie maggiormente reclutate per la sostituzione: infermieri neolaureati e infermieri formati all’estero.
Sempre secondo North, il costo più alto viene sostenuto per assumere un neolaureato, ed è pari a 4804 dollari, anche gli infermieri formati all’estero sono quasi altrettanto costosi (4467 dollari). I costi relativi all’assunzione di infermieri formati in Nuova Zelanda, ma reclutati da un altro ospedale ammontano a circa 3019 dollari.

Le operazioni di sostituzione meno onerose sono invece il ritorno dopo un periodo trascorso altrove di un infermiere da altra unità operativa (941 dollari) e il trasferimento da un’altra unità (1711 dollari). Vi sono infine i costi dovuti al vestiario, allo screening sanitario e all’orientamento organizzativo. Ci sono prove evidenti che i dirigenti infermieristici e i leader non avevano informazioni sui tassi di turnover e sui costi, e così non hanno iniziato tempestivamente il processo di reclutamento.

Conseguenze del turnover

La revisione di Hayes et al. (2006) riporta che molti studi si sono focalizzati sulle cause del turnover, mentre solo un piccolo numero di studi ne hanno esplorato le conseguenze (Takase, 2010). Dal punto di vista gestionale un certo livello di turnover può portare ad alcuni potenziali benefici come, ad esempio, riduzioni salariali, vantaggi per gli infermieri neoassunti, risparmi sui bonus non pagati agli infermieri in uscita, e rinnovamento delle conoscenze pratiche portate dagli infermieri che sostituiscono i dimissionari (Buchan, 2010). Tuttavia, Jones e Gates (2007) indicano che il controllo del turnover infermieristico è considerato una priorità maggiore rispetto alla quantificazione dei vantaggi. È generalmente considerato troppo difficile calcolare i vantaggi di tale turnover come guadagno in termini di produttività.

North et al. (2013) indicano che la produttività dell’infermiere viene persa quando un esperto agisce da senior nei confronti dei novizi, dovendo investire del tempo per fornire loro orientamento e supporto fino al raggiungimento della piena autonomia. Buchan (2010, in accordo con Jones, 2004 e O’Brien-Pallas, 2006) spiega che la maggior parte degli studi determina il costo per turnover del singolo membro del personale, calcolando di conseguenza il costo organizzativo totale annuo.

Un elevato turnover infermieristico a livello di Unità può minacciare il benessere dei singoli infermieri, nonché comportare una minore soddisfazione sul lavoro e un potenziale deterioramento della salute psichica dell’infermiere (O’Brien-Pallas et al.,2010). Il turnover degli infermieri inoltre compromette l’assistenza se la carenza di personale costringe ad alti rapporti infermiere-paziente con conseguente diminuzione della qualità delle cure (Castle et al., 2006; Jones, 2008). Lo studio condotto in Sudafrica da Mmamma et al. (2015) riporta alcune conseguenze del turnover: l’obbligo a lavorare oltre l’orario mensile previsto per risolvere i problemi di carenza di personale causa conflitti tra gli infermieri rimanenti.

È stato riscontrato anche un aumento del tasso di assenza dovuto all’affaticamento derivante dai turni supplementari. Gli infermieri soffrono di stanchezza anche a causa del burnout correlato a diversi aspetti, come il carico di lavoro aumentato per sopperire all’assenza dei colleghi, allo stress lavoro-correlato, nonché alle frustrazioni derivanti della carenza di infermieri. Lo studio ha rivelato poi che i Coordinatori delle Unità infermieristiche non erano più interessati a lavorare in ospedale poiché la dimissione di una grossa quota di infermieri li lasciava con l’onere di un aumentato carico di lavoro.

Ulteriori conseguenze emerse nello studio sono un’assistenza ai pazienti compromessa a causa della perdita di personale competente, una diminuzione della produttività, un aumento dei reclami da parte dei membri del personale, così come i costi di reclutamento e pubblicità.

La ricerca bibliografica condotta ha evidenziato che il turnover ha suscitato un crescente interesse dei ricercatori nel corso degli anni, evidentemente in rapporto alla crescente portata del fenomeno.
La letteratura si focalizza soprattutto sulle cause e sulla misurazione dei costi, per i quali tuttavia non vi è accordo sugli elementi da prendere in considerazione, pur in presenza di un valido supporto metodologico come il Nursing Turnover Cost Calculation Methodology (NTCCM) citato da molti autori, tra i quali ad esempio Roche et al. (2015). Infatti tra le cause vengono indicati una lunga serie di elementi quali:

  • Il trasferimento verso un’altra regione/stato;
  • Il ritorno all’università per proseguire la formazione in ambito infermieristico;
  • La natura stressante del lavoro;
  • Il cambio di posizione lavorativa all’interno della professione infermieristica in ambito clinico e il cambio di posizione all’interno della professione, ma in ambito non clinico;
  • La volontà di dedicare maggiore tempo alla famiglia o altri motivi personali;
  • La necessità di cure mediche;
  • La risoluzione del contratto da parte del datore di lavoro per giusta causa;
  • La mancanza di supporto di squadra;
  • Il lavoro eccessivo, lo stress; il burnout e la mancanza di empowerment;
  • Gli anni di esperienza infermieristica (per alcuni autori al crescere dell’anzianità, diminuisce l’incidenza del turnover, altri sono in disaccordo) e il periodo di tempo nella propria posizione;
  • I problemi salariali;
  • L’ambiente di lavoro ostile e la mancanza di apprezzamento;
  • Le barriere comunicative;
  • La capacità di gestione e leadership del manager (Coordinatore o altri) e le sue caratteristiche;
  • La mancanza di sviluppo della professione infermieristica;
  • La qualità dell’assistenza infermieristica;
  • L’adeguatezza del personale infermieristico, l’adeguatezza delle cartelle cliniche e degli strumenti di lavoro;
  • Il coinvolgimento nelle attività ospedaliere;
  • Il contenuto e il carico di lavoro, la variazione delle attività; l’ambiguità dei ruoli;
  • Gli schemi di turni, la rotazione delle funzioni, le opportunità di carriera, il supporto del supervisore;
  • L’autonomia professionale, la responsabilizzazione e il processo decisionale;
  • La coesione di gruppo, il supporto sociale, il lavoro di squadra e i comportamenti non accettabili tenuti sul posto di lavoro;
  • Esperienze negative derivanti dal comportamento dei pazienti quali aggressioni verbali, violenza e molestie sessuali.Appare evidente che si tratti di una quantità elevata di elementi da considerare, anche nell’ipotesi di proposte per arginare il fenomeno. In tal senso possono aiutare i recenti tentativi di classificazione operati da Labrague et al. (2018) e Vagharseyyedin (2016).

Alcuni elementi tratti dall’analisi della letteratura non sono facilmente collocabili al sistema italiano di reclutamento ed assunzione. Per comprendere l’attualità del problema in relazione al contesto si è deciso di condurre una breve indagine esplorativa. Rispetto a quanto suggerito dalle revisioni della letteratura, non è stato possibile ricostruire il costo del reclutamento e non è stato possibile ricostruire il costo dell’istituzione di un concorso (diviso per il numero di partecipanti che verranno poi effettivamente assunti), né quelli relativi ai costi di segreteria e di istruzione della pratica di assunzione per il singolo futuro dipendente. Tuttavia si sono potuti riscostruire alcuni costi del percorso di assunzione:

  • Visita del medico del lavoro per idoneità, comprensiva di esami del sangue, elettrocardiogramma e visita medica: 550 €;
  • Retribuzione durante il periodo di affiancamento lorda: 6500€;
  • Corsi di formazione di base quali Basic Life Support Defibrillation: circa 110€, sicurezza sul lavoro € 190 e corso antincendio € 150. Totale circa 450€.

È necessario fare alcune precisazioni rispetto all’analisi dei costi: il periodo di affiancamento di un neo assunto è soggetto a molteplici fattori che non sono stati considerati nella trattazione. La variabilità è decretata tanto dal contesto (degenze, servizi, area critica, sale operatorie), quanto dalle pregresse esperienze lavorative e alle competenze tecniche e non tecniche del dipendente.

Ad esempio, il periodo di affiancamento di un infermiere neoassunto assegnato all’Unità Operativa di Rianimazione può durare tre mesi, durante i quali il neofita non è autonomo e lavora sempre sotto la supervisione di un esperto (come nei casi di shadow shift nei paesi anglosassoni).

Tale periodo può ridursi ad un mese in una UO di degenza ordinaria, ma salire a 6 mesi e oltre per gli infermieri strumentisti di sala operatoria, o di pronto soccorso, o di soccorso territoriale.

In tal modo, come riportato dalla letteratura precedentemente presa in esame, l’esperto non è focalizzato al 100% sull’assistenza, ma sull’affiancamento del nuovo collega. Potremmo dire, in ultima analisi e semplificando, che l’Azienda stia pagando due infermieri (un esperto e un neofita) per portare a termine una sola attività di assistenza.
Assumendo che la paga del neofita si aggiri intorno ai € 1600 al mese, ovvero, al lordo per il dipendente circa € 2150, non considerando il contributo per il TFR e quello pensionistico per quiescenza. Tenendo presente anche i costi della mensa aziendale, del vestiario e della formazione prima che l’infermiere neofita riesca ad essere produttivo, non è errato considerare una spesa di circa € 8000.

L’Infermiere Online – Sito Istituzionale FNOPI