Il dolore da arto fantasma è una sensazione dolorosa percepita in una parte del corpo che non esiste più, ed è una conseguenza comune che si verifica dopo amputazione e/o lesione nervosa (Herrador Colmenero et al., 2018; Kaur et al., 2018). Il dolore è tipicamente di origine neuropatica e riferito all’arto mancante; viene descritto come un dolore pulsante, pungente e bruciante; tra le sensazioni manifestate vi sono la presenza di spilli ed aghi, l’intorpidimento, il
solletico, i crampi, la percezione mutevole di caldo e freddo nella zona amputata (Aternali et al., 2019; Herrador
Colmenero et al., 2018; Kaur et al., 2018). L’insorgenza dei sintomi può essere provocata da cambiamenti ambientali, emotivi o fisici (Kaur et al., 2018); il tipo, la frequenza e la stabilità della percezione possono variare (Foell et al., 2011). Questo tipo di dolore può essere accompagnato da una varietà di effetti secondari, tra cui depressione, difficoltà nelle attività di vita quotidiana e diminuzione della qualità della vita (Aternali et al., 2019). Il dolore da arto fantasma è di solito riferito entro la prima settimana dopo l’amputazione; si tratta di un dolore cronico e in alcuni pazienti può gradualmente scomparire nel corso di pochi mesi fino ad arrivare ad un anno se non trattato, ma altri soffrono di dolore da arto fantasma per decenni (Aternali et al., 2019; Kaur et al., 2018). Negli Stati Uniti 1.7 milioni di persone ogni anno vengono sottoposte all’amputazione di un arto (Kaur et al., 2018); molte di esse riferiscono dolore all’arto fantasma ad un certo punto dopo l’amputazione e le stime di prevalenza sono comprese tra il 50 e l’85%. (Aternali et al., 2019; Dunn et al., 2017; Herrador Colmenero et al., 2018).
Sebbene ci siano diverse spiegazioni fisiopatologiche di rilievo per lo sviluppo del dolore da arto fantasma, la sua natura rimane poco chiara; si pensa che siano molteplici i meccanismi che stanno alla base di questo tipo di dolore e ciò ha reso difficile la sua gestione e un trattamento che si rivolge a più meccanismi di dolore da arto fantasma deve ancora essere sviluppato. (Aternali et al., 2019; Dunn et al., 2017). I meccanismi proposti sono tradizionalmente classificati in base al fatto che interessino il sistema nervoso periferico o centrale. I meccanismi periferici includono l’attivazione dei neuroni dell’arto residuo mediante stimolazione meccanica, catecolamine, fattori immunologici proinfiammatori e altre sostanze neurochimiche pronocicettive (Aternali et al., 2019; Dunn et al., 2017). Secondo altri ricercatori, è il sistema nervoso centrale il generatore principale del dolore da arto fantasma (Dunn et al., 2017; Luo et al., 2016). Tra i meccanismi centrali vi sono la riorganizzazione corticale disadattiva, il rilascio del controllo inibitorio e la perdita di input/feedback afferente dall’arto amputato. È stato suggerito che, dopo l’amputazione, le aree corticali che un tempo rappresentavano l’estremità amputata vengono rioccupate da zone adiacenti della corteccia somatosensoriale e motoria primaria corrispondenti ad altre parti del corpo (Aternali et al., 2019; Flor, 2002, Katz, 1992). A conferma di questa teoria è stato dimostrato che il dolore da arto fantasma è più intenso tra gli individui in cui è avvenuto un maggior grado di rimappatura corticale disadattiva (Aternali et al., 2019; Flor, 2002). Per quanto riguarda la mancanza di inibizione degli stimoli dolorosi, è stato ipotizzato che le vie centrali che normalmente inibiscono il sintomo potrebbero essersi ulteriormente ridotte dall’assenza di informazioni periferiche visive e tattili che, se presenti, potrebbero altrimenti confermare o meno la percezione del dolore (es. un arto fantasma in una posizione ritenuta dolorosa o una sensazione di “strisciamento” sulla cute) (Aternali et al., 2019; Katz, 1993). I fattori psicologici non sono stati ben supportati come fattori causali per il dolore da arto fantasma, ma è stato dimostrato che componenti psicologiche come lo stress e la depressione possono innescare ed aumentare un dolore già esistente (Dunn et al., 2017; Luo et al., 2016).
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