Con il termine detersione nell’ambito del wound care si intende comunemente l’azione del lavare e del pulire, la superficie della ferita/ulcera e della cute peri-lesionale. La detersione è parte integrante della gestione delle ferite acute e croniche (Queiros et al, 2013), ed è ritenuta la fase iniziale ed indispensabile che consente di creare le condizioni ottimali per sviluppare un microambiente adeguato a garantire il processo fisiologico della riparazione tissutale.
L’azione del lavaggio prevede la rimozione di ciò che potrebbe ostacolare e/o ritardare la guarigione di una ferita, ovvero: detriti tessutali, germi di superfice, eventuali residui di medicazioni e altri materiali superficiali poco aderenti ma visibili macroscopicamente; deve essere eseguita in modo accurato e se necessario utilizzando abbondante soluzione per favorire la diluizione della carica batterica. In quest’ottica la detersione consente di realizzare il primo passo verso una adeguata preparazione del letto di ferita (WBP).
Ciascun professionista che si trova nelle condizioni di dover gestire una ferita/ulcera deve porsi, in rapporto a ciò che ha di fronte, alcune domande:
- finalità della detersione
- tipologia di lesione (letto ferita, dolore, segni di infezione)
- metodo/tecnica di detersione più indicato
- frequenza con cui applicarlo
- prodotto detergente più appropriato.
La risposta a ciascuno di questi quesiti delinea, al responsabile della cura, un primo percorso gestionale da seguire per arrivare poi alle scelte terapeutiche più complesse.
Le caratteristiche di una soluzione ideale per la pulizia delle ferite sono essere non tossica per i tessuti umani, rimanere efficace in presenza di materiale organico, in grado di ridurre il numero di microorganismi, non provocare reazioni di sensibilità, essere disponibile, stabile con lunga durata di conservazione ed economicamente conveniente. Poiché ogni soluzione ha caratteristiche diverse la scelta della soluzione è determinata, oltre che dalla accessibilità, dalle caratteristiche di ognuna e dalla tipologia di lesioni da trattare.
La soluzione fisiologica (0,9%) e il ringer acetato soddisfano i criteri sopra indicati. Solitamente si preferiscono per la detersione perché, essendo soluzioni isotoniche, non interferiscono con il normale processo di guarigione, non danneggiano i tessuti, non sono allergenici e non alterano la normale flora batterica della pelle.
Anche l’acqua di rubinetto è raccomandata e ha il vantaggio di essere efficace, a basso costo, di facile reperimento, efficiente; nonostante non sia una soluzione isotonica il suo utilizzo non è raccomandato su ferite che presentano esposizione di ossa o tendini.
Per ottimizzare l’efficacia del processo di detersione, le recenti evidenze suggeriscono che, oltre ai detergenti semplici (acqua e soluzioni isotoniche) sopra citati, siano disponibili soluzioni detergenti con surfactanti ad azione tensioattiva. I tensioattivi o surfactanti sono elementi in grado di ridurre la tensione superficiale del fluido in cui vengono dissolti, in questo modo è facilitato il distacco dello sporco e dei detriti, che rimangono sospesi in soluzione affinché non possano nuovamente contaminare la ferita.
I tensioattivi anfoteri sono dotati di carica idrofila, che si lega alla soluzione acquosa, e una idrofoba che si lega alla porzione da rimuovere, attirando a sé lo sporco e i detriti da rimuovere e respingendo l’acqua. L’azione estremamente delicata ne rende possibile l’impiego in campo dermatologico, fanno parte di questa categoria le betaine e le imidazoline.
Altra detersione, che cambia però il suo nome, è quella realizzata con l’ausilio di antisettici topici nelle ferite infette o che presentano segni di infezione, ove vi sia una presenza consistente di slough, dove sono presenti contaminanti solidi (per es. depositi di materiale derivante da incidenti stradali o materiale fecale).
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Associazione Infermieristica per lo Studio delle Lesioni Cutanee – EBN