“L’obiettivo programmato con il Dm 77 dell’apertura in pochi anni di circa 1.350 Case della Comunità comporta uno sforzo logistico enorme che difficilmente la maggior parte delle Sanità regionali sarà in grado di sopportare”.
L’avvertimento arriva da Eurispes ed Enpam che hanno presentato la ricerca ‘Il Termometro della Salute’, promossa dall’Osservatorio Salute, Legalità e Previdenza dell’istituto di ricerca e dell’ente di previdenza e assistenza dei medici.
“Se il Sistema sanitario nazionale non sarà messo in grado di programmare e poi assorbire le necessarie professionalità, le Case e gli Ospedali della Comunità rimarranno vuote – proseguono Eurispes ed Enpam –. Mentre la crisi del decisivo comparto della medicina generale si avviterà ulteriormente, gli ospedali continueranno a degradarsi, l’universalità della sanità pubblica continuerà a deperire, si apriranno ulteriori autostrade per la sanità privata e curarsi diverrà una questione di censo”.
L’indagine fotografa anche lo stato dell’arte di un sistema sanitario sempre più sfibrato, sguarnito di risorse umane, popolato da un personale anziano e con stipendi e condizioni di lavoro tutt’altro che attrattive.
L’anno di riferimento è l’ultimo pre-Covid, il 2019, ma non molto è cambiato e non si è fatto tesoro della lezione impartita dalla pandemia: il finanziamento complessivo del Fondo sanitario nazionale è destinato infatti a tornare nel 2025 esattamente ai livelli di quattro anni fa (6,2% del Pil). A questi fondi vanno aggiunti i circa 40 miliardi di euro di spesa diretta, crescente, dei cittadini (cosiddetta ‘out of pocket’), in pratica il 2,2% del Prodotto interno lordo: numeri desolanti rispetto a competitor come Germania (9,9% e 1,7%), Francia (9,4% e 1,8%) o Svezia (9,3% e 1,6%), ricorda il report. Tirando le somme, osservano mestamente Eurispes ed Enpam, tra il 2010 e il 2019 “sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro alla Sanità pubblica”. Cifre che mal si conciliano con la missione di un Ssn di stampo universalistico.
Il mancato turn-over e il reiterato blocco delle assunzioni “hanno prodotto anche sacche di precariato inconciliabili con la continuità assistenziale”, spiega la ricerca. Un’emorragia che il periodo del Covid non ha arrestato, malgrado i tentativi di stabilizzazione del personale reclutato in emergenza, e che rischia di essere aggravata ulteriormente da un’ondata di prepensionamenti. Già oggi la “quota di infermieri (circa 6,16 ogni 1.000 abitanti; con un 1,4 infermieri per ogni medico) colloca l’Italia agli ultimi posti della classifica dei paesi Ocse”, testimonia l’indagine.
Più in generale, secondo Agenas, tra il 2012 e la fine del 2018 si sono persi 25mila operatori sanitari. Al tempo stesso i medici under 35 sono in Italia soltanto l’8,8% del totale, contro percentuali superiori al 30% in Gran Bretagna, Olanda e Irlanda, o comunque superiori al 20% in Germania, Spagna e Ungheria.
Il report sottolinea poi vista la scarsa attrattività delle professioni sanitarie in termini di retribuzione e prospettive di carriera: il medico italiano ha un reddito pari a 2,4 volte quello medio del Paese, mentre in Gran Bretagna il rapporto sale a 3,6, in Germania a 3,4, in Spagna a 3,0, in Belgio a 2,8. E lo stesso vale a grandi linee pure per gli infermieri.
La sanità italiana poi, è diversa da regione a regione. Così, se Toscana, Emilia-Romagna e Veneto anche negli anni della spending-review sono state in grado di sostituire integralmente il personale andato in quiescenza e anche di aumentarlo, la Lombardia ha sostanzialmente mantenuto gli organici e il Piemonte li ha leggermente diminuiti. Mentre tutte le altre Regioni rimangono sotto piano di rientro e hanno un tasso medio di turn-over, tra il 2012 e il 2017, inferiore al 70 per cento.
Questo si ripercuote anche sugli squilibri legati alla mobilità sanitaria. “In termini di efficienza, la ‘forbice’ tra alcune Regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, inevitabilmente si allarga. Ai due estremi, nel 2018 la Regione Lombardia ha riscontrato un saldo positivo di quasi 809 milioni di euro, mentre la Regione Calabria un deficit di quasi 320 milioni di euro e la Regione Campania di più di 302 milioni”, dicono Eurispes ed Enpam.
Ovviamente “gli importi versati dalle Regioni che ‘cedono’ pazienti a quelle in grado di erogare le prestazioni, determinano una ulteriore difficoltà in budget sanitari già compressi dai piani di rientro. All’opposto, le Regioni che erogano molte prestazioni a cittadini non residenti possono contare su di un over-budget che rende possibili investimenti in strutture e personale, di cui beneficiano in primo luogo i cittadini residenti”: il gap, quindi, si sta via via ulteriormente allargando.