I dispositivi per accesso venoso sono un presidio indispensabile per il trattamento dei pazienti ospedalizzati e non.
Come molti interventi strumentali, però, possono associarsi complicanze di vario tipo che non sempre sono prevenibili, benché spesso prevedibili. Tali complicanze (talora correlate alla inserzione dell’accesso venoso, talora legate a problematiche di gestione dello stesso) sono clinicamente più rilevanti per gli accessi venosi centrali piuttosto che per gli accessi venosi periferici; inoltre, determinati tipi di accessi centrali sono caratterizzati da diversi tipi di rischio rispetto ad altri. Ne consegue che la prima e più importante strategia per minimizzare i rischi degli accessi venosi è porre in modo appropriato la loro indicazione: posizionare un accesso venoso soltanto quando necessario; scegliere in modo corretto tra accesso venoso periferico e accesso venoso centrale, limitando l’utilizzo di questi ultimi alle situazioni in cui sono indispensabili; scegliere tra i diversi presidii disponibili secondo regole di massima appropriatezza.
Nel paziente con necessità di accesso venoso, la scelta del presidio più appropriato si basa essenzialmente sull’uso
cui l’accesso è destinato (infusione di farmaci o di nutrizione parenterale; prelievi ripetuti; monitoraggio emodinamico; procedure dialitiche o aferetiche; etc.), sulla tipologia di farmaci o soluzioni che verranno infuse per via endovenosa, sull’ambito nel quale l’accesso verrà utilizzato (intra- o extra- ospedaliero) e sulla durata per la quale è previsto.
Scelta dell’accesso venoso centrale vs. periferico
Si definiscono propriamente come accessi venosi centrali tutti quei dispositivi intravascolari la cui punta arriva in vena cava superiore, in atrio destro o in vena cava inferiore. Tale posizione è considerata appropriata per consentire una infusione sicura di soluzioni di qualunque pH e qualunque osmolarità : infatti, anche farmaci vescicanti o flebolesivi possono essere infusi con sicurezza in tali sedi, grazie all’alto flusso ematico (es.: circa 2 litri/minuto nella vena cava superiore del paziente adulto) che diluisce la potenziale lesività di tali soluzioni sull’endotelio. La posizione della punta del catetere deve essere anche tale da consentire la infusione diretta delle soluzioni direttamente nel flusso ematico, e non contro la parete venosa. La posizione centrale della punta è anche considerata ideale per la esecuzione di prelievi ematici ripetuti e per le procedure di emodialisi, che richiedono ampi flussi in entrata e in uscita.
L’utilizzo dell’accesso venoso centrale per il monitoraggio emodinamico (rilevazione della pressione venosa centrale, misura della saturazione in ossigeno del sangue venoso misto, stima della gittata cardiaca mediante il metodo della termo-diluizione) è possibile soltanto per i dispositivi di accesso venoso centrale con punta situata nel terzo inferiore della vena cava superiore o nel terzo superiore dell’atrio. Quest’ultima posizione (ovvero, in prossimità della giunzione cavo-atriale superiore) è anche quella associata a minor rischio di trombosi e di malfunzionamenti.
Tra i cateteri venosi centrali posizionati a partire dall’arto inferiore (ad esempio mediante venipuntura femorale), è bene distinguere due categorie:
- dispositivi la cui punta è posizionata nella vena cava inferiore (la posizione più sicura sembra essere la parte media della cava inferiore, al disopra delle vene iliache comuni ma al di sotto delle vene renali), i quali consentono la infusione di qualunque farmaco o soluzione, nonché i prelievi ematici e la emodialisi, ma non il monitoraggio emodinamico;
- dispositivi la cui punta è posizionata in atrio destro, i quali consentono anche il monitoraggio emodinamico. Esempi di dispositivi di accesso venoso centrale sono i PICC, i CVC tradizionali ad inserzione centrale (CICC), i cateteri femorali (FICC), i port toracici, i PICC-port, i cateteri per emodialisi sia a breve che a lungo termine, etc. e – in ambito neonatale – i cateteri epicutaneo-cavali (ECC) e i cateteri venosi ombelicali (CVO).
Tutti gli accessi venosi la cui punta non è allocata in cava superiore, in atrio destro o in cava inferiore devono essere considerati accessi venosi periferici. Secondo le linee guida nazionali e internazionali, tramite tali accessi non si dovrebbero infondere farmaci o soluzioni con pH <5 o >9, né farmaci vescicanti, né soluzioni con osmolarità > 750-850 mOsm/litro, né farmaci o soluzioni che con qualsiasi altro meccanismo siano associate ad alto rischio di flebite.
Esempio di accessi venosi periferici sono le ago cannule, i cateteri periferici lunghi (o ‘mini-midline’) e i cateteri Midline. L’utilizzo di tali presidii per la infusione di farmaci potenzialmente lesivi sull’endotelio è da evitare, poiché si associa comunque al rischio di complicanze trombo-flebitiche e di stravasi.
Da quanto detto sopra si evince che la corretta indicazione ad un accesso venoso centrale si ha nei seguenti casi:
- necessità di infusione di farmaci con pH <5 o >9 o vescicanti o comunque non compatibili con la via venosa periferica;
- necessità di nutrizione parenterale (con la possibile eccezione di brevi trattamenti con nutrizione parenterale a base lipidica e comunque con osmolarità < 800 mOsm/litro)
- necessità di emodialisi;
- necessità di ripetuti prelievi ematici;
- necessità di monitoraggio emodinamico.
Le prime tre situazioni possono anche essere affrontate con un dispositivo per accesso venoso con punta in vena cava inferiore, che invece non permetterà manovre di monitoraggio emodinamico. La emodialisi sarà possibile soltanto se l’accesso venoso centrale avrà delle caratteristiche strutturali specifiche in termini di calibro, lunghezza, numero di lumi e rigidità . Dispositivi per accesso venoso centrale di calibro inferiore a 3Fr (tipicamente, gli ECC) non saranno appropriati per prelievi ematici e per monitoraggio emodinamico, a prescindere dalla posizione appropriata della punta. Occorre aggiungere infine che una frequente indicazione all’accesso venoso centrale è la previsione di una lunga durata di utilizzo (non a caso, tutti gli accessi a lungo termine sono centrali).
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Bibliografia: GAVeCeLT