La violenza sul lavoro da parte di pazienti e/o accompagnatori è un problema mondiale e costituisce un rischio lavorativo che interessa non solo la dignità, ma anche la salute dei professionisti del settore sanitario. La violenza sul lavoro è stata oggetto di indagine soltanto a partire dagli anni Novanta e solo nei casi più gravi di aggressioni fisiche; pertanto la sua conoscenza è ancora poco diffusa, ancora meno una sua valutazione precisa, anche per la mancanza di attività di ricerca effettuata in modo sistematico e con procedure omogenee.
Il Bureau of Labor Statistics, Census of Fatal Occupational Injuries, basandosi sui dati di Elliott (Cannavò, 2017), afferma che gli operatori sanitari sono 16 volte più a rischio di violenza degli altri lavoratori. Nonostante la rilevanza, il fenomeno, ad oggi, non è inquadrato ancora in modo puntuale: comprende infatti un’ampia varietà di comportamenti compresi nel termine. Inoltre il confine con i comportamenti accettabili è spesso così vago e la percezione di cos’è la violenza nei differenti contesti e nelle diverse culture è così diversa, che definire il fenomeno della violenza sul lavoro rappresenta un’importante sfida.
Un ulteriore problema è dato dal fatto che non vi è una definizione univoca e condivisa che stabilisca cosa si intende per ‘aggressione agli operatori’. Gates (1995) definisce la violenza sul lavoro come atti violenti, ovvero quelli dovuti a molestie, minacce e aggressioni fisiche verso il personale in servizio. Elliott (1997) definisce la violenza sul lavoro come qualunque incidente, dove i lavoratori dipendenti e autonomi sono abusati, minacciati o aggrediti in situazioni derivanti da o nel corso del lavoro svolto. Più recentemente sono stati inclusi nella violenza agli operatori: l’omicidio, le aggressioni, le minacce, i maltrattamenti verbali, i comportamenti che creano un clima di paura, lo stalking, i riti di iniziazione violenti e i comportamenti che conducono a grave stress o comportamenti di evitamento (Mayhew et al., 2007).
In sintesi la definizione dovrebbe includere ogni atto di maltrattamento fisico o psicologico contro gli operatori sanitari, in grado di creare un danno reale o potenziale, di qualsiasi natura esso sia (Smith-Pittman, 1999). Howard (2001) afferma che c’è violenza sul lavoro se un comportamento vietato riduce la sicurezza reale e percepita dell’operatore, del supervisore o dell’organizzazione. Questa definizione comprende anche gli eventi violenti che avvengono al di fuori del posto e degli orari di lavoro, nella misura in cui i comportamenti si riferiscono a motivi correlati al lavoro.
Queste definizioni confermano il pensiero attuale che vede la violenza come un problema complesso, con molte sfaccettature, che comprende numerosi comportamenti inaccettabili. Nell’ottica di un impegno internazionale per promuovere la sicurezza sul lavoro nel settore sanitario, l’International Council of Nurses (ICN) ha partecipato ad un programma congiunto con altre organizzazioni internazionali (International Labour Office, International Council of Nurses, World Health Organization, Public Services International), al fine di sviluppare linee guida per affrontare la violenza (2002). In questa occasione la violenza sul lavoro è stata definita come i maltrattamenti, le minacce o le aggressioni che le persone subiscono in circostanze correlate al loro lavoro e che comportano un rischio alla loro sicurezza, al loro benessere e alla loro salute (Cashmore, 2012).
Questa definizione è probabilmente la più accettata e comprende tutte le forme di violenza, sia fisica che psicologica, non escludendo la violenza tra colleghi. La difficoltà non si incontra solo nello stabilire una definizione univoca ma anche nella ricerca e nello sviluppo di strategie di prevenzione e di intervento per combatterla. Inoltre le percezioni poco chiare degli operatori su come bisogna intendere i termini abusi, minacce o aggressioni, hanno un sicuro impatto negativo sulla loro decisione di segnalare l’evento (Knowles, 2013).
Ci sono inoltre problemi metodologici nell’identificazione e nella segnalazione delle aggressioni. Alcuni studi segnalano solo le aggressioni che causano lesioni fisiche o minacce di aggressione, altri considerano la percezione soggettiva delle minacce o dei maltrattamenti verbali. Anche la frequenza e la gravità delle aggressioni non è stata ben documentata, sia per la mancanza di uno strumento che misuri l’aggressione e la violenza, sia per la presenza di uno stigma nei confronti delle vittime. Pertanto, quando le aggressioni sono segnalate, i risultati sono diversi a causa delle differenti definizioni e dei diversi strumenti di misura utilizzati (Cannavò et al., 2017).
Come riportato dalla letteratura, il fenomeno è ancora oggi fortemente sottostimato, per la frequente sotto segnalazione delle aggressioni, in special modo dei maltrattamenti verbali (Vezyridis et al 2014; Sharma et al, 2019). Dalla revisione condotta da Brunetti et al. (2013) risulta che l’under-reporting (mancata denuncia) degli episodi di aggressione è frequente fino all’80% dei casi, in quanto le aggressioni sono vissute come parte del lavoro. Inoltre da alcuni studi risulta che gli operatori non siano in grado di riconoscere la violenza (Stene et al., 2015; Cannavò et al., 2017).
A causa della sotto-segnalazione, dell’assenza di normative per la prevenzione della violenza e della mancanza di una definizione univoca del termine, la violenza sul lavoro potrebbe essere ancora più frequente di quello che indicano le statistiche (Cannavò et al., 2017), anche in relazione a un meccanismo di assuefazione, per il quale chi entra in servizio già è consapevole del fatto che potrà essere vittima di aggressioni di natura verbale (le più comuni), psicologica o fisica, oppure che sarà testimone di violenze sui propri colleghi. Ciò sottolinea come siano ancora più allarmanti le percentuali calcolate, in quanto i dati ottenuti risultano molto elevati pur non essendo ancora completi. Si ritiene pertanto che gli eventi noti siano solamente la punta di un iceberg, con dimensioni in realtà molto più grandi di quanto si sia immaginato.
Il fenomeno delle violenze sul luogo di lavoro è presente in tutti i contesti lavorativi. Un recente studio (Sharma et al., 2019) ha documentato che circa il 54% degli operatori sanitari indagati ha subito violenza nel settore dell’emergenza nell’ultimo anno. A livello nazionale sono sempre più numerosi gli studi (Ramacciati et al., 2011; Cannavò et al., 2017) che dimostrano come gli infermieri che esercitano la professione in Pronto Soccorso siano esposti a violenze fisiche, verbali e psicologiche.
Ci siamo quindi posti l’obiettivo di analizzare la percezione degli infermieri rispetto alle aggressioni nel nostro Pronto Soccorso dell’Ospedale “U. Parini” di Aosta, considerando che le denunce pervenute sono soltanto 28 dal 2014 alla data dell’indagine, dando l’idea quindi di una dimensione contenuta sia quantitativamente, sia qualitativamente, con l’evidenziazione di aggressioni prevalentemente verbali.
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