Formare infermieri in grado di fornire un’assistenza competente è una sfida sempre più difficile a causa dell’aumento della complessità clinica dei pazienti e degli stessi setting di cura. Il passaggio dall’insegnamento teorico di base alla pratica clinica potrebbe essere favorito grazie alla simulazione (Weller, 2004).
Gaba (2004) descrive la simulazione “come una strategia e non una tecnologia, in grado di anticipare o amplificare situazioni reali con esperienze guidate in un modo completamente interattivo”. Con le situazioni cliniche simulate gli studenti possono acquisire sicurezza nell’esecuzione di tecniche e procedure assistenziali (Frontiero et al, 2012; Dale, 1970).
I corsi che adottano tecniche di simulazione sono considerati la formazione migliore alla quale un discente possa aspirare. Secondo quanto emerge dall’esperienza il processo di apprendimento con la simulazione è davvero efficace in quanto grazie al maggiore coinvolgimento dello studente le conoscenze acquisite permangono più a lungo (Knowles, 1996; Egman et al., 2011, Pacsi, 2007).
La simulazione permette di sviluppare capacità di problem solving e di decision making. Inoltre attraverso casi/situazioni/condizioni verosimili si aiuta lo studente a familiarizzare con la realtà che si troverà ad affrontare (Lewis, 2012). Sembra che la simulazione migliori il pensiero critico e il ragionamento clinico in situazioni di cura complesse (Goodstone, 2013; Wood, 2012; Sullivan-Mann, 2009) e aiuti gli studenti nello sviluppo di autoefficacia e fiducia nella propria abilità clinica (Laschinger, 2008).
Nonostante la loro popolarità, i sistemi di simulazione soprattutto ad alta fedeltà sono costosi in termini di tempo e risorse. La letteratura disponibile mostra che la simulazione è utile per creare un ambiente di apprendimento funzionale e attivo e che contribuisce all’aumento della conoscenza, delle competenze, della sicurezza e della fiducia (Pacsi, 2007, Goodstone, 2013; Laschinger, 2008) tuttavia, gli studi per valutare i suoi effetti in termini di sviluppo della capacità di pensiero critico negli studenti infermieri sono ancora limitati (Maneval, 2012; Brewer, 2011).
L’obiettivo primario dello studio è valutare l’efficacia della simulazione di casi clinici con l’utilizzo di manichini interattivi (human patient simulator, HPS) nello sviluppo della capacità di pensiero critico rispetto alla formazione tradizionale. Gli obiettivi secondari sono: valutare lo sviluppo della capacità di pianificazione assistenziale, la soddisfazione degli studenti, gli effetti in termini di fiducia in se stessi e di apprendimento e il raggiungimento degli obiettivi formativi nel gruppo sperimentale.
MATERIALI E METODI
Lo studio controllato e randomizzato è stato condotto presso la sezione di Imola del corso di laurea in infermieristica dell’Università di Bologna. E’ stato approvato dal Comitato di bioetica dell’Alma mater studiorum – Università di Bologna. Gli studenti iscritti al terzo anno di corso che frequentavano il tirocinio sono stati randomizzati, dopo averne ottenuto il consenso scritto. La randomizzazione è stata realizzata attraverso l’utilizzo di una sequenza di numeri casuali generati dal computer. Gli studenti sono stati elencati in ordine alfabetico e successivamente, attraverso il generatore di numeri casuali della Regione Emilia-Romagna è stato definito l’elenco degli studenti appartenenti al gruppo sperimentale. Il rapporto di allocazione previsto fra gruppo sperimentale e controllo è di 1:1. Sono stati esclusi gli studenti fuori corso.
INTERVENTO
Gruppo sperimentale
Gli studenti hanno partecipato a due sessioni di simulazione, a distanza di un mese l’una dall’altra, ciascuna della durata di 30-40 minuti. Sono stati proposti casi clinici di interesse medico e chirurgico. Durante le sessioni veniva proposta una situazione clinica il più possibile fedele alla realtà e veniva chiesto di svolgere un’attività attraverso l’uso di manichini a grandezza naturale, interattivi, in grado di riprodurre parametri fisiologici, patologici e farmacologici. Per esempio: veniva ricreato l’ambiente di una stanza di degenza con un paziente al primo giorno post intervento chirurgico addominale e veniva chiesto allo studente di effettuare un prelievo ematico. Improvvisamente cambiavano la situazione e le condizioni del paziente simulato.
Lo studente doveva pensare e ipotizzare cosa stesse accadendo al “paziente” senza comunicare verbalmente (come accadrebbe nella realtà) quale complicanza si stesse presentando, raccogliere e accertare i dati clinici per confermare l’ipotesi fatta ed eventualmente escluderne altre. Doveva poi comunicare l’accaduto all’infermiera tutor e attuare gli interventi infermieristici necessari. Alla fine della sessione di simulazione veniva effettuato il debriefing in modalità 3D. Secondo il modello 3D, gli elementi che interagiscono sono l’individuo, la sua esperienza e l’ambiente. Il modello 3D è costituito da 3 parti: defusing (defervescenza), discovering (scoperta) e deepening (approfondimento) precedute da una fase preliminare di “pre debriefing” in cui l’istruttore cerca di creare un ambiente “psicologicamente sicuro”. Nella fase di defusing, l’istruttore sollecita i partecipanti a descrivere l’impatto emotivo dello scenario al quale hanno partecipato, scopo di questa fase è la riduzione dell’ansia e dello stress derivanti dall’impatto con la simulazione.
Gli obiettivi della fase di discovering sono costituiti dall’osservazione riflessiva della prestazione e dall’individualizzazione dei modelli mentali sottostanti, in altri termini è la ricerca del “perché” i partecipanti si sono comportati in un certo modo o hanno fatto particolari scelte.
Nel deeping l’istruttore cerca di facilitare la connessione degli elementi emersi nelle fasi precedenti e di fornire suggerimenti per l’applicazione di quanto è emerso nella pratica (Zigmont, 2011; Dieckman, 2009). Lo studente effettuava la simulazione singolarmente con la sola presenza del tutor in veste di istruttore.
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