Comunicazione strategica: lo strumento per gestire l’aggressività nei setting di emergenza-urgenza

12 mesi ago

Nel corso dell’ultimo anno e, specie negli ultimi mesi, si è assistito ad un’escalation di violenza che ha colpito soprattutto le Unità Operative dell’Emergenza-Urgenza di cui i Pronto Soccorso italiani in misura maggiore.

Nell’articolo seguente, tratto dal sito istituzionale l’Infermiere Online, viene posto l’accento sulla comunicazione strategica come strumento di prevenzione e gestione dell’aggressività nei setting di emergenza-urgenza.

Per violenze sul luogo di lavoro si intendono gli eventi in cui i lavoratori sono minacciati, aggrediti o abusati in
situazioni correlate al lavoro e che comportano un rischio per la loro sicurezza, benessere o salute; nei setting
sanitari, la violenza verso operatori è compiuta prevalentemente da pazienti o loro familiari (violenza di tipo II) (CDC,
2006).

L’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e Socio-sanitarie rileva un notevole
e preoccupante incremento del fenomeno delle aggressioni al personale sanitario a livello globale, testimoniato
anche da un numero crescente di studi presenti in letteratura, che riguarda in particolar modo la professione
dell’infermiere, considerata la categoria più vulnerabile per la tipologia di lavoro svolto, sempre a stretto contatto con i pazienti e in situazioni non ordinarie che possono generare facilmente tensione (ONSEPS, 2022). Gli ospedali
rappresentano infatti uno dei luoghi in cui si riscontrano con maggior diffusione casi di violenza sul lavoro (Hegney
et al., 2010) e alcuni studi hanno dimostrato che i professionisti sanitari, in particolare gli infermieri, hanno fino a 16
volte più probabilità di essere oggetto di violenza rispetto ad altri lavoratori (Converso et al., 2021).

Gli episodi di aggressioni a professionisti sanitari e sociosanitari, infatti, sono un fenomeno in crescita, soprattutto
nei dipartimenti di emergenza-urgenza. Nel triennio 2019-2021 sono stati più di 4.800 i casi codificati dall’Inail come
violenze, aggressioni, minacce e similari nei confronti del personale sanitario e socio-sanitario, con una media di
circa 1.600 l’anno, ma è verosimile ritenere che il numero sia ampiamente superiore, dal momento che a volte gli
episodi non vengono denunciati (Ministero della Salute, 2023): il livello di tale sottonotifica viene stimata fino al 70%
(Philips JP, 2016).

Le indagini presenti in letteratura e relative al fenomeno, si basano spesso su survey rivolte a medici, infermieri ed
operatori, in cui gli intervistati riferiscono la frequenza e la tipologia di violenze subite in un periodo, di durata
variabile, precedente l’intervista. Tuttavia, tali rilevazioni non consentono una stima del burden of disease associato
agli eventi.

La preoccupazione di fronte a tali episodi ha portato le diverse istituzioni operanti nel sistema a realizzare nel tempo, specifici monitoraggi, documenti, raccomandazioni con finalità diverse, e proprio con l’obiettivo di assicurare un lavoro sinergico da parte delle istituzioni, il legislatore ha ritenuto necessario individuare un apposito organismo che coinvolgesse tutti gli stakeholder di riferimento. (Ministero della Salute, 2022). Di rilevante importanza è il fatto che, tra i fattori di rischio del fenomeno – oltre a variabili organizzative ed alla tipologia di paziente – l’esperienza e la capacità comunicativa dell’operatore può giocare un ruolo determinante (U.S. Department of Labor, 2016).

Negli ultimi anni i metodi tradizionali di gestione dell’aggressività, tra cui la contenzione e la somministrazione di
farmaci, sono diminuiti in favore di un approccio meno coercitivo e più empatico. I pazienti sottoposti a questi metodi, dopo aver sperimentato la coercizione e la contenzione fisica durante le loro visite, esprimono un forte desiderio di compassione e impegno terapeutico (Wong et al., 2020).

Il progetto BETA (Best Practices in the Evaluation and Treatment of Agitation) è una raccolta delle migliori evidenze
e raccomandazioni di consenso sviluppate da esperti di medicina d’urgenza e psichiatria nelle emergenze
comportamentali per migliorare il nostro approccio al paziente agitato. Queste raccomandazioni si concentrano sulla de‐escalation verbale come trattamento di prima linea per l’agitazione. (Roppolo et al., 2020)

La comunicazione verbale e non verbale, l’atteggiamento empatico e l’utilizzo dell’ascolto attivo rappresentano la
chiave per coinvolgere ed aiutare il paziente agitato a ridurre l’aggressività. Sono stati identificati 10 domini di deescalation che possono rappresentare per il personale sanitario strumenti efficaci nella gestione del paziente agitato (Richmond et al., 2011):

  1. Rispettare lo spazio personale;
  2. Non essere provocatorio;
  3. Stabilire un contatto verbale;
  4. Essere chiari e concisi;
  5. Identificare i sentimenti e i desideri della persona agitata;
  6. Ascoltare attentamente il paziente e ciò che sta dicendo;
  7. Stabilire leggi e chiarire limiti;
  8. Offrire delle scelte;
  9. Debriefing con il paziente e il personale.

Un’altra tecnica comunicativa per approcciarsi al paziente aggressivo è identificata nel metodo END (Empatia, Normalizzazione, Descalation), che si basa su tre tipologie comunicative:

  • la comunicazione empatica: riconosce i sentimenti e le sensazioni del paziente e permette di creare una
    relazione con l’altro;
  • la comunicazione normalizzante: riduce la paura, la preoccupazione e le distorsioni che intensificano tali vissuti;
  • la descalation: riduce l’aggressività e i vissuti emotivi.

Un ulteriore approccio che si è rivelato efficace, come riportato in una revisione di letteratura (Ramacciati e
Ceccagnoli, 2012), è basato sulla “Regola delle 3A” ovvero:

  • ATTEND: prestare attenzione, ascoltando attivamente l’interlocutore;
  • ASSESS: valutare lo stato emotivo, attraverso l’empatia avanzata;
  • ADDRESS: orientare verso una soluzione soddisfacente.

Prosegui la lettura cliccando qui: Comunicazione strategica