In un periodo storico così particolare per l’infermieristica in Italia in cui si stenta a rendere la professione attrattiva per i giovani, sarebbe bene poter avere una sorta di perequazione tra la figura professionale dell’infermiere e quella del medico nel percorso tirocinio/specializzazione.
Ciò potrebbe essere particolarmente d’aiuto nel ripopolare i corsi di laurea in infermieristica e portare un miglioramento in senso positivo allo stesso CdL che, ad oggi, stenta particolarmente.
Come riportato anche dal presidente del Nursing Up, Antonio De Palma, in un comunicato stampa: “A che punto è, nel nostro sistema sanitario, il riconoscimento di un assegno di studio per i tirocinanti infermieri e per gli altri laureandi delle professioni sanitarie dell’area non medica?
E soprattutto quanto costa per un infermiere un percorso di specializzazione post laurea? Un infermiere laureato che segue un percorso di specializzazione può contare su un aiuto economico dallo Stato?
A quanto pare siamo agli ultimi posti in Europa per il riconoscimento di un seppur minimo rimborso spese per tirocini che conducono alla laurea infermieristica, ma, al contrario, prevediamo un rimborso per i tirocinanti che si avviano alla laurea base di medicina e addirittura un congruo assegno per i medici specializzandi. Stiamo parlando in questo caso di una retribuzione mensile di 1650 euro, non certo irrisoria, da cui sono esclusi psicologi, farmacisti, veterinari, biologi, chimici, specialisti in fisica medica, ma soprattutto rimangono fuori da questa possibilità gli infermieri e le ostetriche.
Se non ci sono rimborsi per i tirocinanti infermieri, ancor peggiore è la situazione per le specializzazioni, tutte rigorosamente a pagamento, a differenza di un laureato in medicina che, nel suo percorso di specializzazione per diventare pediatra, ad esempio, può contare come già detto su quasi 1700 euro al mese.
Frequentemente, molti giovani infermieri neo laureati non hanno la possibilità di affrontare i costi che una scuola di specializzazione comporta (tra mille e i 2mila euro per ogni anno), aprendo pertanto scenari di abbandono del percorso formativo o persino casi di sub lavoro sottopagati e impropri.
Dall’altro canto, il lavoro svolto dagli studenti in qualità di tirocinanti, rappresenta un apporto significativo di cui il SSN beneficia. Il loro importate contributo facilita i processi organizzativi, compensando la carenza di organico e il mancato turnover. E cosa accade in Europa?
Mai prima d’ora il Parlamento europeo aveva espresso ufficialmente come propria, la posizione di messa al bando dei tirocini non remunerati.
Lo scorso gennaio il Parlamento Europeo ha condannato con estrema decisione tale condotta che in Italia viene attuata sistematicamente negli ospedali pubblici e privati, che spesso sfruttano gli studenti utilizzandoli come sub lavoratori durante la loro formazione. Accade fin troppo spesso ad infermieristica, ed i dati sono allarmanti.
Basti pensare che solo all’interno dell’università “La Sapienza” di Roma il numero di tirocinanti totale, sommando tutti i corsi di laurea presenti (all’incirca sei), tra primo, secondo e terzo anno, si aggira intorno alle 3.000 unità, pronte ad essere utilizzate, talvolta adempiendo a compiti che per legge non sono ancora di loro competenza.
Gli studenti vengono chiamati, quindi, a tappare quei buchi che il sistema sanitario non argina tramite assunzioni pubbliche ed a coprire turni di infermieri assenti o talvolta mancanti. Addirittura, spesso i tirocinanti vengono mandati all’interno delle corsie senza una giusta guida da parte del tutor clinico o del personale infermieristico, senza che nessuno spieghi loro le procedure di svolgimento delle attività, mettendo così a rischio non solo la buona riuscita delle attività stesse assegnategli.
Vanno garantite retribuzioni e tutele a tirocini extracurricolari e post lauream. E vanno perlomeno finanziati i rimborsi per i tirocini curricolari. Oltre a garantire la qualità della formazione di tirocini e stage. Ci sono del resto Paesi che sono avanti anni luce rispetto a noi.
E’ chiaro che in Italia qualcosa deve cambiare. Prima di tutto siamo di fronte ad un netto calo di laureati in infermieristica. Per la prima volta dal 2011, il numero dei laureati in Infermieristica è sceso sotto 10mila.
Nel dettaglio, i laureati sono 11.436 sui 15.464 posti messi a bando, pari al 74%. Valore questo che è sceso dall’81% del 2013 al 69% del 2020 e al 67% del 2021. Tra le principali ragioni la difficoltà, nell’ultimo biennio, di assicurare il tirocinio per gli studenti e terminare così in tempo il percorso formativo. Situazione non certo rosea è quella degli iscritti ai test di ammissione di infermieristica, con un calo del 10,5%.
Di questo passo continueremo a perdere infermieri per strada (il 30% nei prossimi tre anni ), privandoci sia di coloro che, già esercitano la professione, ma che, stanchi e delusi, scelgono di abbandonare l’Italia o di dimettersi dalla sanità pubblica per abbracciare la libera professione, ma soprattutto di fronte alla problematica dei professionisti che vanno in pensione, non avremo un adeguato ricambio generazionale.
Le conseguenze saranno assai deleterie per la qualità dei servizi sanitari: avremo sempre meno infermieri, con il rischio di dover mettere l’assistenza nelle mani di figure surrogate, oppure di ricorrere a professionisti stranieri i quali, “solluccherati” dalle politiche stipendiali degli altri paesi d’Europa, lasceranno anche loro l’Italia in men che non si dica. E’ davvero questa la sanità che vogliamo?“, conclude De Palma.