OPI Varese: “Reclutare infermieri in Sud America non è la soluzione”

In questi giorni sta tenendo banco la “missione” estera organizzata dall’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso, in viaggio in Sud America (Argentina e Paraguay) per reclutare almeno 500 infermieri in modo da coprire la carenza cronica che attanaglia la regione lombarda.

Sulla questione è intervenuto anche il presidente dell’OPI Varese, Aurelio Filippini, che in un’intervista al quotidiano online “Varese News” ha affermato: “Parlano di 500 lavoratori a fronte di una carezza di almeno 9000. Non è una soluzione. Anzi. Se guardiamo all’esperienza di Varese a cui l’assessore Bertolaso dice di ispirarsi, dobbiamo ricordare che l’inserimento di questi professionisti non è né automatico né immediato. A Varese prima hanno dovuto imparare l’italiano che, soprattutto per un madrelingua spagnolo, non è poi semplice date quelle parole definite “amiche” che sembrano simili ma hanno significati differenti.

Questi infermieri, poi, lavorano in un sistema sanitario completamente diverso dal nostro: per l’inserimento hanno bisogno di un tutor che gli stia sempre vicino. Così abbiamo fatto all’ospedale di Varese: ciascuno degli 11 infermieri arrivati a inizio anno è stato affiancato da un tutor. Abbiamo individuato colleghi che sapessero lo spagnolo in modo da favorire la comprensione con i medici e con i pazienti.

Non è un’operazione semplice e non è sicuramente a breve termibe. Credo che solo a maggio un paio di questi infermieri arrivati a gennaio potrà entrare nei turni in modo autonomo: un lavoro complesso, lungo e impegnativo per avere sollievo solo in un paio di turni.

Dispiace  soprattutto la mancanza di attenzioni o di progettualità verso gli infermieri italiani. Da tempo, chiediamo delle misure di welfare a sostegno di chi lavora in corsia per contrastare la fuga verso ospedali del Canton Ticino. Si è parlato di misure perora rientrare i medici dall’estero ma nulla si dice per gli infermieri. È come se la sostituzione del personale italiano con quello di paesi del Sudamerica sia l’unica soluzione. Eppure, formare un infermiere nel percorso accademico ha un costo sociale: possibile che non si valuti l’importanza di quell’investimento?

Far arrivare personale da paesi stranieri non è nemmeno una novità abbiamo già vissuto esperienze alla fine del secolo scorso. Ma, anche quella volta, la soluzione arrivò dal riconoscimenti di un benefit ai giovani italiani in formazione: venne concessa una borsa regionale agli studenti dei corsi infermieristici e ci fu il boom di adesioni”.