Riportiamo uno studio osservazionale-trasversale sull’esperienza di vita della persona in trattamento chemioterapico con catetere venoso centrale ad inserzione periferica (PICC) pubblicato sul noto Italian Journal Of Nursing.
Nello studio (riportato qui in integrale) si legge: “Il “The Cancer Atlas” afferma che il cancro è destinato a diventare il principale ostacolo all’aumento dell’aspettativa di vita nel secolo corrente (si stimano 29.4 milioni di nuovi casi nel 2040), poiché il numero di decessi per causa cardiovascolare è in diminuzione grazie alla prevenzione e ai trattamenti (American Cancer Society, 2018).
A livello mondiale si è stimato che nel 2018 siano stati diagnosticati 18.1 milioni di nuovi casi e si siano verificati 9.6 milioni di decessi per cancro. Rapportando tale dato in termini di proporzioni si evince che una donna su cinque e un uomo su quattro abbiano sviluppato la malattia ed una donna su undici e un uomo su otto siano morti a causa di questa (American Cancer Society, 2018).
L’Europa presenta un quarto di tutti i nuovi casi a livello globale (4.2 milioni) e un quinto dei decessi (1.9 milioni) pur avendo meno di un decimo della popolazione mondiale (American Cancer Society, 2018).
Facendo riferimento alla popolazione italiana, i nuovi casi di tumore stimati (ad eccezione dei tumori della cute diversi dal melanoma) nel 2022 sono stati 390.700. Nel documento emanato dal Ministero della Salute, “I numeri del cancro in Italia” (2022), viene riportato che la stima dei nuovi casi di tumore nella popolazione maschile e nella popolazione femminile sia rispettivamente di 205.000 (a fronte dei 199.500 casi diagnosticati nel 2020, con un aumento dell’1,4%) e di 185.700 (a fronte dei 183.200 casi diagnosticati nel 2020, con un aumento stimato dello 0,7%).
Il trattamento della patologia neoplastica si basa su obiettivi definiti dalla tipologia e dallo stadio del tumore. Il miglioramento della qualità di vita, l’alleviamento dei sintomi, il prolungamento della sopravvivenza, il contenimento della proliferazione delle cellule neoplastiche e la totale eradicazione della neoplasia sono i principali obiettivi del trattamento (Hinkle & Cheever 2017).
La terapia antitumorale può essere classificata in due gruppi: la terapia locoregionale e la terapia sistemica. La terapia locoregionale comprende:
- Il trattamento chirurgico;
- Il trattamento radioterapico;
- Il trattamento mediante chemioterapia locoregionale.
- La terapia sistemica, invece, comprende:
- Il trattamento chemioterapico mediante somministrazione orale oppure parenterale (endovenosa, intramuscolare e intratecale);
- Il trattamento mediante ormonoterapia;
- La terapia a bersaglio molecolare:
- Il trattamento mediante immunoterapia.
Il trattamento chemioterapico mediante somministrazione endovenosa rappresenta attualmente l’opzione terapeutica più diffusa per il trattamento antitumorale. Il trattamento chemioterapico endovenoso viene strutturato secondo un approccio personalizzato in base alle caratteristiche del tumore, tenendo conto dello stato dei recettori, dell’espressione dell’RNA, delle mutazioni sottostanti del DNA e delle risposte immunologiche (American Cancer Society, 2018).
La chemioterapia endovenosa permette di enfatizzare il trattamento sistemico, andando a colpire le cellule tumorali in qualunque regione dell’organismo esse si trovino (Xu et al. 2021). Tale terapia richiede il posizionamento di un catetere venoso ad accesso centrale, tra cui il PICC.
Con il termine PICC (Peripherally Inserted Central Catheters, cateteri venosi centrali ad inserzione periferica) si fa riferimento ad un dispositivo per l’accesso venoso costituito materiale biocompatibile (poliuretano), il quale, mediante il posizionamento in una vena periferica dell’arto superiore (tipicamente vene brachiali o vena basilica), permette il raggiungimento di una regione definita centrale del corpo umano, ovvero la zona di transizione tra la cava superiore e l’atrio, definita zona atrio-cavale.
Quest’ultima è ritenuta la sede ottimale per garantire un’infusione sicura di soluzioni con qualsiasi pH e osmolarità. Dato l’elevato flusso ematico della vena cava superiore (circa 2 L/min nel paziente adulto), si verifica la diluizione di farmaci vescicanti e flebolesivi, andando così a ridurre la potenziale lesività dell’endotelio. In aggiunta, il posizionamento del catetere a tale livello previene che il dispositivo vada a contatto con la parete venosa, permettendo allo stesso di porsi sul livello del medesimo flusso ematico. In media i PICC presentano una lunghezza pari a 40-60 cm (la misura del catetere viene scelta in relazione alle misure antropometriche della persona) e un calibro tra i 2 e i 5 Fr (Pitturi & Scoppettuolo 2023).
Il PICC è indicato in tutti i casi vi sia la necessità di:
- Infondere farmaci con pH < 5 o > 9 o vescicanti o flebolesivi;
- Somministrare la nutrizione parenterale (con la possibile eccezione di brevi trattamenti con nutrizione parenterale a base lipidica o comunque con osmolarità < 800 mOsm/L);
- Effettuare ripetuti prelievi ematici;
- Monitoraggio emodinamico (misurazione pressione venosa centrale e la misurazione della saturazione di ossigeno nel sangue venoso misto).
- Frequente indicazione all’accesso venoso di tipo PICC è la previsione di una lunga durata della terapia farmacologica, soprattutto in ambito extraospedaliero (Pitturi & Scoppettuolo 2023).
Come riportano i dati del “The Cancer Atlas”, la popolazione affetta da una malattia tumorale sta aumentando. Tale incremento sta portando ad un utilizzo sempre maggiore dei cateteri venosi ad accesso centrale (CVAD) per la somministrazione della terapia chemioterapica e per la frequente necessità di effettuare prelievi venosi (Ivziku et al. 2022).
Gli studi pubblicati sull’uso degli accessi venosi centrali nell’ambito del trattamento antitumorale si concentrano principalmente sui fattori economici, quali i costi di gestione sanitaria, le infezioni e altre complicazioni. In generale è possibile affermare, dato il numero di studi presenti, che venga prestata poca attenzione alle esperienze di vita del paziente portatore di accesso venoso centrale e alle sue prospettive (Ryan et al. 2018).
Ivziku et al. (2022) hanno condotto una revisione sistematica della letteratura, consultando PubMed, Medline, Scopus, Cochrane e Web of Science, al fine di comprendere le esperienze e i sentimenti che i pazienti oncologici provano nel vivere con un catetere venoso centrale. La revisione presa in analisi è stata aggiornata in un primo momento il 27 novembre 2020 e, successivamente, il 25 maggio 2021. I ricercatori non hanno posto alcuna limitazione riguardo al tipo di dispositivo venoso preso in analisi, al tumore del paziente e al contesto di arruolamento dei pazienti. Ivziku et al. (2022) hanno presentato come fenomeno di interesse l’esperienza di vita del paziente oncologico portatore di CVAD partendo dall’analisi di 9 studi pubblicati tra il 2008 e il 2019 (3 in Regno Unito, i rimanenti in Spagna, Italia, Danimarca, Svezia, Australia e Brasile). La raccolta dei dati di tali studi è avvenuta mediante focus group o interviste semi-strutturate nei setting ambulatoriali o day-hospital. Dall’analisi degli studi presi in considerazione, Ivziku et al. (2022) affermano che il posizionamento del catetere venoso centrale presenta un assetto dicotomico: da un lato la riluttanza e dall’altro l’apprezzamento e l’accettazione.
I ricercatori affermano dunque il fatto che sia necessario analizzare e comprendere le preoccupazioni, le paure, i desideri, le difficoltà sia fisiche che psicologiche che l’assistito oncologico portatore di CVAD manifesta, andando ad analizzare l’impatto che ogni singolo dispositivo ha sulla vita delle persone stesse. Inoltre, secondo la revisione sopra citata, sono necessari studi riguardo gli interventi da effettuare per migliorare l’autogestione e l’autocura dei pazienti oncologici portatori di accesso centrale (Ivziku et al. 2022)
Lo scopo dell’elaborato è quello di descrivere l’esperienza di vita degli assistiti con diagnosi di malattia oncologica in trattamento chemioterapico che vivono con il PICC.