Il piano dell’Assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso, potrebbe non sortire l’effetto desiderato. Nonostante Bertolaso stesso abbia chiuso accordi per portare in Italia 3000 Infermieri e 500 medici da Argentina e Paraguay entro fine anno, sono davvero tanti gli ostacoli che non sono stati presi in considerazione.
In un comunicato stampa del Nursing Up, il presidente Antonio De Palma, ha elencato quelli che potrebbero rappresentare dei punti insormontabili al reclutamento degli infermieri Sud Americani, affermando: “Prendiamo atto, in queste ore, che il piano Bertolaso, sul reclutamento di infermieri italiani sudamericani, va avanti spedito. Non conoscono freno, infatti, i toni trionfalistici con i quali l’Assessore al Welfare della Regione Lombardia prosegue nel suo “ambizioso intento”, convinto della bontà di un progetto che prevede la definizione di un accordo bilaterale con Paesi quali Argentina e Paraguay, con cui sarebbe già stato raggiunto un accordo di massima.
Bertolaso intende formare professionisti sanitari sudamericani, adeguandoli al nostro complesso sistema, e rendendoli quindi, sia chiaro, idonei a coprire almeno in parte l’enorme voragine di personale che attanaglia la Lombardia (9mila infermieri in totale mancanti all’appello, 2500 ne occorrono per risolvere l’immediata necessità dei reparti di emergenza-urgenza del pubblico).
Lo stesso Bertolaso è arrivato ad annunciare che potrebbero essere addirittura 3 mila gli infermieri extracomunitari pronti ad arrivare in Italia entro fine anno.
Noi abbiamo, da parte nostra, l’onestà intellettuale di ammettere che non saranno certo le nostre riflessioni e legittime rimostranze a fermare dall’oggi al domani gli intenti di Bertolaso, anche perché non potremmo certo entrare nella sfera delle decisioni che gli competono.
Dall’altra parte, però, a quanto pare, l’Assessore al Welfare sta ignorando le critiche, anche pesanti che, in seguito al proseguire dei suoi intenti (con tanto di conferenze stampa), gli stanno letteralmente piovendo addosso come una vera e propria valanga.
Si tratta di rimostranze che non arrivano solo dalle realtà sindacali come la nostra, consce che la priorità di cui occuparsi è la valorizzazione dei nostri professionisti dell’assistenza, ma anche e soprattutto da parte di illustri esponenti della comunità scientifica italiana e che corroborano le riflessioni con cui alcuni giorni fa abbiamo commentato per la prima volta il piano Bertolaso. Fummo i primi ad intervenire quando l’Assessore accusò “taluni sindacati” delle professioni sanitarie di non avere un atteggiamento costruttivo e propositivo.
Sia chiaro, una volta per tutte, non abbiamo nulla contro l’operato di Bertolaso (nella Plenaria di Milano del 2013 incontrammo personalmente il suo staff) e tanto meno agiamo, non è nostra abitudine, per “partito preso”, contro l’arrivo di professionisti sanitari stranieri.
Ma non possiamo non esprimere una grande preoccupazione, legata proprio al modus operandi di una politica che si ostina a cercare “pericolose e tortuose scorciatoie.
Non possiamo per tanto ignorare i rischi che interventi del genere possono comportare sulla già deficitaria stabilità della sanità italiana e sulla qualità dei servizi sanitari dedicati alla collettività.
Incredibile ma vero, è gravissimo nascondere la testa sotto la sabbia e non tenere conto delle forze che abbiamo in casa, lasciando che ci “sfuggano” dalle mani le migliori eccellenze, su cui sembra ci rifiutiamo di investire da fin troppo tempo.
Dall’altra parte può sembrare una soluzione facile e veloce quella di portare professionisti sanitari stranieri in Italia, sostenendo di agire addirittura anche nell’interesse delle nazioni coinvolte negli accordi.
Bertolaso, dice ancora De Palma, non può non rendersi conto che non siamo solo di fronte a barriere linguistiche che richiederanno un tempo di formazione e adattamento per questi professionisti che implica, si spera, il loro doveroso non immediato impiego, nell’interesse dei malati. Ma abbiamo anche infermieri che provengono da territori lontani dal nostro e che avranno bisogno di ulteriore tempo per apprendere un approccio con il paziente , e profili di collaborazione inter professionale in cui noi italiani sappiamo essere unici.
Abbiamo davvero tutto questo tempo a disposizione? Possiamo concedere a questi infermieri un tempo di formazione non inferiore ai 9 mesi come accade in Germania con i professionisti di casa nostra?
Il timore plausibile è che gioco forza una parte di questi infermieri sudamericani saranno gettati nella mischia dopo poche settimane dall’arrivo in Italia, gravando oltre tutto ancor più sul lavoro quotidiano dei colleghi già operativi, che si dovranno adoperare anche dei nuovi assunti, cercando di compensare, laddove possibile, le loro lacune. E con quali conseguenze per i nostri malati? Abbiamo davvero bisogno di tutto questo?“, chiosa De Palma.