E’ il sindacato infermieristico Nursing Up, tramite un’indagine, a lanciare il grido d’allarme, tra l’altro lanciato già a fine dello scorso anno dall’OPI Pesaro-Urbino. Gli infermieri italiani sarebbero a rischio povertà.
Nel comunicato ufficiale si legge: “Infermieri italiani sempre più a rischio povertà. E se non siamo da considerare i nuovi poveri, ci manca davvero poco per diventarlo. Stanchi e logorati dai turni massacranti e dalla disorganizzazione, delusi e amareggiati per chi ci prende a pugni e a calci quasi ogni giorno, “illusi” dalle promesse vane di una politica che sulla valorizzazione economica e contrattuale continua a fare propaganda.
Soprattutto infermieri infelici perché alle prese con l’incertezza per il nostro futuro e per quello delle nostre famiglie.
Definirci i “nuovi poveri” potrebbe sembrare una forzatura, una esagerazione. Numeri alla mano, però, non è affatto così. I professionisti sanitari italiani dell’area non medica, con il proprio reddito medio di 24.168 euro annui, si attestano nettamente al di sotto della media del reddito nazionale (36mila euro).
A ben guardare i numeri delle nostre retribuzioni, siamo molto più lontani dalla media nazionale e molto più vicini alla soglia della povertà (1150 euro), con un infermiere base che, che senza premialità, porta a casa poco più 1400 euro netti, e che con una retribuzione del genere, in una grande città del Nord, è da considerare un povero a tutti gli effetti.
La fotografia dell’ISTAT non mente, e i dati sono schiaccianti. Sono tredici milioni le persone in difficoltà nel 2023, 2,8 milioni in condizioni di grave deprivazione. L’aumento dell’occupazione e l’introduzione dell’assegno unico hanno avuto un piccolo effetto positivo ma non hanno certo rivoluzionato un quadro decisamente assai grigio.
Da circa 8 anni lo stipendio degli infermieri italiani è fermo al palo. E le cifre di questo nuovo contratto della sanità, le cui trattative sono appena iniziate, la dicono lunga. Ed è per questo che noi del Nursing Up abbiamo chiesto al Governo un provvedimento straordinario di 432 milioni di euro, con alla base l’aumento dell’indennità di specificità infermieristica.
Lo stipendio medio per gli infermieri italiani è di circa 1700 euro mensili. Un salario “che ahimè non tocca certo a tutti gli operatori sanitari, dal momento che è comprensivo di premi e di straordinari, ciò equivale a dire che ci sono quegli infermieri che percepiscono cifre ben inferiori.
Proviamo a fare due conti. Solo nel 2020, con una inflazione già preoccupante, ma non certo alta come quella di oggi, alla luce della sua magra retribuzione, l’infermiere era collocato ampiamente al di sotto della soglia di povertà ISTAT per una città del Nord Italia, pari ad euro 1700 circa.
L’aumento vertiginoso delle responsabilità dei professionisti della salute e l’arrivo dell’emergenza Covid, ci ha proiettati in un sistema sanitario che ci ha letteralmente risucchiato e ingabbiato in turni massacranti, e questo non fa certo il paio con una valorizzazione che da anni segue il vergognoso e inspiegabile percorso del “vorrei ma non posso” e delle pacche sulle spalle.
E così arriviamo ad oggi, con una inflazione che non ha mai conosciuto un picco del genere dal lontano 1995: i rincari vertiginosi delle utenze domestiche, e adesso anche l’aumento dei beni di prima necessità, a partire dal carrello della spesa, proiettano gli infermieri italiani, con il loro magro stipendio, in una situazione di estremo disagio.
E’ un dato di fatto, la politica nazionale e regionale ci ha letteralmente voltato le spalle. Siamo agli ultimi posti in Europa per retribuzione media. L’arrivo del “ciclone inflazione” e l’aumento del costo della vita non hanno certo fatto il paio con la revisione degli stipendi dei professionisti dell’assistenza. E se al Sud chi ha la fortuna di avere “casa di famiglia” o paga un affitto ragionevole, riesce a reggersi o galla, al Nord, con il caro abitazioni, scatta una vera e propria battaglia per la sopravvivenza.
La povertà fa un piccolo passo indietro in Italia, nonostante la perdita di reddito reale delle famiglie. Un miglioramento frutto di due spinte differenti: da una parte l’aumento dell’occupazione, dall’altra introduzione dell’assegno unico universale, che ha debuttato a marzo del 2022 e che in base alle elaborazioni fatte dall’Istat da solo ha ridotto dell’1% il rischio povertà.
Il rapporto sulle condizioni di vita e sul reddito delle famiglie nel 2023, fotografa un paese meno fragile e meno diseguale, sia pure con le solite differenze a livello geografico. Scende al 18,9% la percentuale di popolazione a rischio povertà per mancanza di un reddito adeguato (era il 20,1% l’anno precedente). Segue un andamento analogo, con una riduzione dal 24,4% al 22,8% la quota di persone a rischio povertà ed esclusione sociale (che incrocia i fattori economici con la bassa intensità di lavoro). In quadro tutto sommato positivo si segnala però un lieve aumento della popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,7% rispetto al 4,5%).
L’aumento dell’occupazione nel 2022 ha portato a una decisa contrazione rispetto all’anno precedente della quota di individui (8,9% da 9,8%) che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (indicatore Europa 2030), ossia con persone che hanno solo per poco tempo nel corso dell’anno (meno di un quinto). Il miglioramento riguarda tutte le ripartizioni geografiche, in particolare il Nord-ovest (4% rispetto al 5,2 dell’anno precedente) e il Centro (7,7% rispetto a 8,8%)“, conclude De Palma.