La FAVO (Federazione italiana di volontariato in oncologia) ha presentato il 16° rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici (visibile qui) in cui sono presenti una serie di sfide affinché l’assistenza ai malati oncologici sia uniforme.
Nel comunicato stampa della FNOPI si legge: “La prima priorità da soddisfare, come da indicazione del Piano oncologico nazionale 2023-2027, è l’attivazione e il monitoraggio delle reti oncologiche regionali sul territorio nazionale con una capillare ripartizione dei compiti tra i centri per garantire equità di accesso alle cure, continuità assistenziale, ricerca clinica diffusa ed erogazione di servizi di prevenzione. Lo scenario attuale italiano invece è ancora a macchia di leopardo.
Seconda priorità l’istituzione locale dei PDTA “strettamente connessi alle Reti Oncologiche Regionali, di cui rappresentano l’elemento portante”.
La terza priorità è costituita dalla programmazione e valorizzazione del personale del servizio sanitario: “entro il 2025 è previsto un ammanco di oltre 43.000 specialisti”, avverte la Favo.
Infine, è necessario attivare la Rete Nazionale Tumori Rari (RNTR), “la cui attuazione è volta a superare le criticità nella cura dei pazienti colpiti da queste neoplasie e, soprattutto, a razionalizzare il fenomeno della migrazione sanitaria”.
“Tutti questi passaggi potranno essere espletati soltanto attraverso l’istituzione di un coordinamento nazionale e di una cabina di regia centrale, per dare impulso e monitorare la piena attuazione del Piano oncologico nazionale”.
Al rapporto Favo, la FNOPI ha contribuito con una capitolo in cui spiega e sottolinea, per i nuovi bisogni assistenziali, l’importanza di considerare anche la fragilità digitale.
Secondo la Fnopi la sanità digitale non rappresenta solo un investimento tecnologico, ma è soprattutto una prospettiva di servizio sanitario ai cittadini dove la casa è intesa come “primo luogo di cura” favorendo una realtà di prossimità rispetto alla vita di tutti i giorni dei cittadini, superando la logica del ricorso all’ospedale come unico setting di risposta ai bisogni di salute. “L’ultimo miglio”, dal punto di vista infermieristico, è il luogo di prossimità che ha inizio dal domicilio della persona assistita e si sviluppa attorno ad esso, nella logica della teoria della “città dei quindici minuti”.
Si tratta di un luogo nel quale i servizi sono fruibili dai cittadini in forma diretta, facilmente accessibili e con il minor possibile impatto sull’organizzazione di vita, determinando il criterio guida nelle scelte di investimento, organizzative e tecnologiche di Sanità Digitale.
A oggi l’attenzione all’”ultimo miglio”, sottolinea la FNOPI, appare insufficiente. Serve un set minimo di modelli organizzativi adeguati alle esigenze di cura, prevedendo la partecipazione attiva della persona assistita e della sua rete privata in una logica di “Readiness”, intesa come capacità di operare adeguatamente all’interno di una organizzazione specifica per il singolo paziente promossa e certificata da un Care Manager. Il percorso per la preparazione del setting deve essere inserito nei piani di assistenza, PDTA e PAI. L’eleggibilità assistenziale del paziente e della sua rete privata è di competenza dell’infermiere, che la valuta e la promuove attraverso una funzione di “Digital Citizen Advocacy”.
Nell’”ultimo miglio” le competenze della persona assistita, del caregiver o delle persone di riferimento sono in evoluzione, così come il livello tecnologico del setting di cura. Far evolvere le competenze e le tecnologie è una delle sfide per l’infermiere che ha in carico il caso, sostenendo un vero e proprio processo di “empowerment” del paziente e del suo contesto di cura. In questo senso, l’infermiere ha un ruolo traino nel processo di superamento della fragilità digitale, che non può essere considerata tout court una condizione escludente.
I setting di sanità digitale, spiega la FNOPI nel suo contributo l rapporto FAVO, devono sviluppare fortemente la reciprocità dei processi di cura, l’ingaggio e la consapevolezza della persona assistita e dei caregiver. La qualità della relazione, soprattutto in setting assistenziali mediati da soluzioni digitali, rimane un importante strumento di fiducia, di motivazione, di aderenza terapeutica e di esito generale del processo di cura. Gli strumenti relazionali devono essere rapportati alla literacy digitale del cittadino e della sua rete familiare e lo sviluppo delle competenze relazionali digitali deve diventare parte dei percorsi formativi delle professioni di cura”.