Si ritorna a parlare del tema della carenza di infermieri e della fuga degli stessi dall’Italia, verso mete in cui la figura è valorizzata sia economicamente che dal punto di vista della crescita professionale.
E, siamo alle solite. Invece di sensibilizzare le istituzioni ad aumentare gli stipendi, si ritorna indietro di anni, parlando di vocazione. Ad usare questa parola è stato Francesco Longo, direttore dell’Osservatorio del Cergas/Sda dell’Università Bocconi sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale, membro del Consiglio superiore della Sanità e ricercatore per l’organizzazione e la gestione del personale nelle aziende pubbliche.
In un’intervista rilasciata al quotidiano online “Il Tirreno”, Longo ha affermato: “Le professioni sanitarie sono 23: infermieri, tecnici di laboratorio, fisioterapisti… Per gli infermieri non abbiamo le vocazioni. Non è un problema di stipendio. I giovani di oggi sono una generazione narcisista, nel senso che sono attratti da lavori narcisisti, mentre l’infermiere è un lavoro oblativo. E quindi abbiamo un problema generale di mancanza di persone che fanno lavori di cura.
Va spiegato alla collettività che l’infermiere non fa quello che faceva 30 anni fa, oggi quello lo fa l’Oss. L’infermiere non imbocca, non toglie il pannolone ma distribuisce i farmaci, controlla l’evoluzione delle patologie, è laureato”.
Però, nonostante le parole finali, si continua a parlare di vocazione. L’infermiere è un lavoro come gli altri e va considerato come tale.
Ma questo Longo ha mai provato a lavorare per quattro spiccioli come facciamo noi e con la responsabilità che abbiamo?