Il ruolo dell’infermiere nell’accanimento terapeutico: l’indagine OPI Fi-Pt

Il termine accanimento terapeutico, in uso da anni, è stato sostituito dalla dicitura “ostinazione irragionevole delle cure” in seguito all’approvazione della legge 219/17.

Un cambiamento che fu introdotto per ribadire l’importanza di evitare procedure inutili o dannose per il paziente, soprattutto in caso di prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte. Un’interessante indagine conoscitiva è stata pubblicata dall’OPI Firenze-Pistoia che riportiamo qui di seguito:

“Nel prendersi cura di una persona in fase terminale della vita, gli operatori sanitari possono andare incontro a problemi clinici ed etici riguardanti le scelte da intraprendere per il paziente e per il mantenimento della sua dignità: per questo una conoscenza approfondita del processo del morire per i professionisti sanitari risulta essenziale.

La dimensione della qualità dell’assistenza è determinata dal concetto di appropriatezza, oltre che da quello di efficienza ed efficacia. È la misura di quando una scelta o un intervento diagnostico/terapeutico sia adeguato in base alle esigenze del paziente e al contesto sanitario.

Il Comitato Nazionale per la Bioetica italiano, nel documento “Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana” (1995) definisce l’accanimento terapeutico un “Trattamento di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunge la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica”.

Tenendo conto di quanto esposto, si possono identificare tre criteri oggettivi che ruotano intorno al significato di ostinazione irragionevole delle cure (accanimento terapeutico): 

  • il primo è quello della documentata inefficacia, ovvero una terapia inutile;
  • il secondo riguarda la gravosità del trattamento che rischia di determinare ulteriori sofferenze adottando un atteggiamento di “violenza terapeutica”;
  • il terzo criterio si basa sulla sproporzionalità dei trattamenti rispetto agli obiettivi da raggiungere.

L’infermiere può trovarsi di fronte a queste situazioni, con un conseguente Distress morale, perché ha la consapevolezza di trovarsi a contatto con una ostinazione irragionevole delle cure, ma non riesce a farsi ascoltare. 

Il Distress morale è un termine coniato nel 1984 da A.Jameton per descrivere quel tipo di angoscia che colpisce gli infermieri quando sono impossibilitati di mettere in atto delle condotte ritenute corrette. Questo può portare a conseguenze negative sia per la salute mentale che fisica degli infermieri, nonché per la qualità dell’assistenza sanitaria fornita ai pazienti.

Percorso d’indagine

Per il nostro studio è stata effettuata una revisione della letteratura attraverso l’utilizzo della banca dati PubMed, applicando alcuni filtri (abstract, free full text, 5 anni) e utilizzando dei termini come futility, intensive care units, nursing, moral distress. Di tutti gli articoli rintracciati, solo sei sono stati selezionati. Ai fini dello studio è stato creato inoltre un questionario composto da 19 domande, divise in due sezioni. La prima sezione è composta da 8 domande, sia aperte che a risposta multipla, concernenti le generalità (ad es. sesso, età, titolo di studio, regione dell’Italia in cui vive); la seconda sezione contiene 11 domande specifiche, inerenti l’argomento dello studio. Il questionario è stato ideato, e testato su un piccolo campione, per poi essere diffuso attraverso le piattaforme on-line come Facebook, Instagram e Whatsapp. Per poter svolgere l’indagine è stato chiesto il consenso alle persone a partecipare allo studio. La compilazione è stata autonoma e completamente anonima secondo il Codice in materia di protezione dei dati personali. 

Risultati

All’indagine hanno aderito 169 infermieri, di cui 80,5% femmine e il 19,5% maschi, con una prevalenza delle fasce 30-40 (24,3%), 40-50 (26%), 50-60 (26,6%),

I rispondentipresentano diversi titoli di studio, in particolare il diploma di infermiere presso la scuola regionale (23,1%) e la laurea in infermieristica (59,8%).

La quasi totalità dei rispondenti proviene dalla regione Toscana (74%). Alla domanda in che anni ha iniziato a lavorare come infermiere/a, è emerso che la maggioranza ha una anzianità di servizio che varia dai 14 ad 1 anno(49,9%)e la maggior parte presta servizio presso Asl toscane (62,7%). In relazione ai setting in cui operano i rispondenti, emerge che la medicina risulta prevalente (24,9%), a seguire le RSA/RSD (20%).

La seconda sezione rivolgeva agli infermieri domande più specifiche riguardo il tema dell’ostinazione irragionevole delle cure:

  • Conosce la L. 219/17, norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento?” la maggior parte degli infermieri (81,1%) ha risposto che è a conoscenza di questa, il 6,5% non ne è a conoscenza mentre il restante 12,4% l’ha solo sentita nominare. 
  •  “La L. 219/17, all’art.2 introduce il termine ostinazione irragionevole delle cure che sostituisce il termine accanimento terapeutico. Quale definizione darebbe a questo termine?” è emerso che il 91,1% degli infermieri ha risposto correttamente “l’ostinazione in trattamenti inutili e sproporzionati che non portano alcun miglioramento delle condizione di salute secondo le evidenze scientifiche e la concezione della qualità di vita della persona
  • Cosa s’intende per trattamento futile?” è emerso che il 96,4% ha risposto correttamente: “trattamento che non abbia nessuna ragionevole probabilità di ottenere un effetto che la persona malata possa percepire come un beneficio e che non sia appropriato in considerazione della gravità della sua situazione clinica
  • Durante il suo percorso lavorativo, ha mai sperimentato situazioni di ostinazione irragionevole delle cure in pazienti nella fase finale della vita o in fase avanzata della malattia?” è risultato che il 55,6% afferma di averlo sperimentato più di una volta, associata ad un 32,5% (spesso), un 5,3% (una volta) mentre, soltanto il 6,5% afferma di non averla mai sperimentata.
  • Quante volte si è trovato/a a partecipare a trattamenti che riteneva inutili o sproporzionati per il paziente?” è emerso che il 60,4% afferma di essersi trovato più di una volta a partecipare a trattamenti ritenuti inutili o sproporzionati, sommato al 2,3% (spesso) e l’8,9% (una volta). 
  • indagando se quelli che avevano risposto sì alla precedente avevano cercato di argomentare il loro dissenso all’equipe nel proseguire le cure: il 73,4% ha risposto “”, mentre il restante ha risposto “No” (10,7%) o “Non lo faccio mai, tanto non vengo ascoltato/a” (7,1%).
  • In generale, nella realtà in cui lavora, quanto l’infermiere viene ascoltato rispetto alla sospensione delle cure irragionevoli?” è emerso che “raramente” (59,8%) l’infermiere viene ascoltato circa la sospensione delle cure irragionevoli, mentre il restante ha risposto “mai” (13,6%) e “spesso” (20,7%). 
  • Quali sentimenti ha provato di fronte a situazioni in cui si è verificata un’ostinazione irragionevole delle cure?”. Questa era composta da cinque risposte a scelta multipla con la possibilità di sceglierne fino ad un massimo di tre. È emerso che i sentimenti più provati sono: tristezza (58,6%), frustrazione (55%), senso d’impotenza (53,8%) e rabbia (40,2%).
  • A seguito della domanda precedente è stato chiesto: “Ha mai pensato di lasciare il suo lavoro a causa di situazioni eticamente difficili o in contrasto con i suoi valori?” è emerso che più della metà dei rispondenti ha risposto “mai” (56,2%) mentre l’altra metà ha risposto che “una volta, più di una volta e spesso” (43,8%) ha pensato di lasciare il lavoro. 
  • L’equipe in cui lavora, si è mai rivolta al  comitato per l’etica clinica per i casi eticamente difficili?” è emerso che la maggior parte (61,5%) ha risposto “mai” mentre il restante ha risposto “una volta, più di una volta e spesso” (17,2%) e “non sono a conoscenza se, nell’azienda in cui lavoro, esista questa opportunità” (21,3%).
  • Il questionario terminava con una domanda aperta, non obbligatoria, che permetteva all’infermiere/a di esprimersi liberamente circa il proprio personale pensiero o raccontare un’esperienza di vita vissuta: “Le sarei grata se potesse descrivere brevemente il suo pensiero rispetto all’accanimento terapeutico/ostinazione irragionevole delle cure. Oppure, se preferisce raccontare un episodio in cui c’è stato un conflitto etico nell’equipe su questo argomento”. Delle 79 risposte ottenute, riportiamo alcuni stralci:

– “Molto spesso, come equipe, trattiamo pazienti estremamente anziani o in condizioni di salute estremamente avanzate. In tutte queste situazioni, sistematicamente, i pazienti muoiono con in corso terapia antibiotica, richieste di esami o trasfusioni programmate. Da un punto di vista medico NON c’è mai progettualità delle cure, appropriatezza o un minimo senso di qualità della vita. I medici esplicitano che tutti i trattamenti sono necessari, a volte invece, cosa ancor più grave secondo me, esplicitano che sono sicuri che i trattamenti non sono necessari, ma che li mettono in atto “… perché non si sa mai …”. Come infermiere con formazione e esperienza in Cure Palliative tutto ciò è straziante. Nel mio piccolo cerco sempre di domandare se i trattamenti sono necessari e cerco sempre di mettere il tarlo del “… ma ha senso? Cosa ti aspetti che succeda? Saresti stupita se il paziente morisse dopodomani?” ma vengo ascoltato sempre poco e tutto ciò è frustrante. Ho intenzione, nella prossima riunione, di sollevare il problema e battermi affinché almeno ci si ponga le domande necessarie a capire se un trattamento può o non può essere futile. È la goccia che cade costante che scava la pietra” (infermiere del Piemonte).

– “Una tematica, purtroppo, molto trascurata in molti setting assistenziali che, a mio parere, bisognerebbe approfondire con formazione di tutto il personale assistenziale coinvolto” (infermiere della Toscana).

– “Penso che le DAT debbano diventare obbligatorie, in modo tale da evitare l’accanimento terapeutico” (infermiere della Lombardia).

– (…) La scelta di non investire in scuola università e ricerca ha prodotto anche questo. Non saranno i pochi che comprendendo i problemi a trovare le soluzioni più adatte. Dovremmo essere socialmente più comprensivi, preparati e impegnati. Da soli o in pochi si fa poca strada ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti (per chi li vuol vedere)” (infermiere della Toscana).

Discussione

Lo studio si era posto come quesito “Quanta influenza ha l’infermiere nella decisione di evitare  l’ostinazione irragionevole delle cure?”, mirando in particolare a comprendere se:

– l’infermiere, nella sua realtà lavorativa, viene ascoltato rispetto alla sospensione delle cure irragionevoli. 

– l’infermiere prova disagio rispetto al suo ruolo, nell’ambito dell’equipe, nelle decisioni di sospensione delle cure irragionevoli. 

– è necessario implementare eventi formativi/informativi. 

Dai risultati emersi da questa ricerca possiamo affermare che l’infermiere è in grado di individuarequando si trovadi fronte ad una situazione di ostinazione irragionevole delle cure, dichiarando di essersi trovato più di una volta a partecipare a trattamenti inutili e sproporzionati (71,6%) e di aver cercato di manifestare il proprio dissenso (73,4%) ma che raramente (59,8) o mai (13,6%) viene ascoltato. Solo il 20,7 dei rispondenti dichiara di essere ascoltato. 

Queste situazioni generano conflitti all’interno dell’équipe e creano delle forti risposte emozionali, tanto che i sentimenti che gli infermieri affermano di aver provato di fronte a situazioni in cui si è verificata un’ostinazione irragionevole delle cure risultano essere maggiormente: senso d’impotenza (53,8%), tristezza (58,6%), frustrazione (55%) e rabbia (40,2%).

Il senso d’impotenza negli infermieri emerge dalla scarsa comunicazione all’interno del team curante e la mancanza di consenso unanime. Emerge fortemente ancora la questione di dover seguire i desideri della famiglia del paziente per quanto riguarda le cure, nonostante il disaccordo clinico e nonostante questo non conferisca al paziente una qualità di vita dignitosa.Tutto ciò viene confermato dallo studio riportato nella revisione della letteratura all’Art. n°2 (The relationship between futile care perception and moral distress among intensive care units, Hamid Asayesh, Mojtaba Mosavi, March 2018). Il distress morale, in queste situazioni, contribuisce all’aumento della frustrazione tale da portare l’infermiere all’abbandono del proprio lavoro.

Dai risultati si conferma la necessità di:

  • trovare delle strategie efficaci per affrontare questo tipo di problematica, come la comunicazione (tra curanti, pazienti e famiglie) e l’educazione del paziente e della famiglia;
  • garantire la discussione e la diffusione della conoscenza in merito alle DAT; 
  • supportare gli operatori sanitari da parte del Comitato per l’etica nella  clinica in caso di situazioni eticamente difficili; 
  • un’educazione degli studenti in ambito sanitario (medici, infermieri …) circa l’ostinazione irragionevole delle cure e le terapie futili;
  • saper riconoscere che il paternalismonon è del tutto superato, per garantire l’autodeterminazione della persona assistita.

Un’infermiera dell’Asl Toscana centro ha affermato:“È fondamentale CHIEDERE, ascoltare, DOCUMEMTARE e rispettare le volontà della persona in merito ai trattamenti che intende o meno sostenere nel suo percorso di fine vita. Accertare se vi sono DAT e indagare il pensiero dell’assistito con i familiari, se presenti, nel caso lui non fosse in grado di esprimersi. Promuovere il confronto tra l’equipe di sanitari e ricorrere al comitato in caso di dubbi”. 

Conclusioni

L’ostinazione irragionevole delle cure/accanimento terapeutico resta un argomento spinoso e dibattuto, dove capire ciò che è lecito e ciò che non lo è rimane una sfida ardua. L’accanimento terapeutico è come un mare agitato, con onde impetuose che si infrangono contro gli scogli, dove le onde possono diventare eccessive e dannose. Quando i trattamenti continuano senza sosta, senza portare benefici significativi al paziente, si rischia di travolgere la sua salute e la sua qualità di vita. Come il mare in tempesta, l’accanimento terapeutico può essere distruttivo anziché curativo. È importante trovare un equilibrio, come quando il mare si calma e le onde si placano, per permettere al paziente di trovare la pace e la guarigione. 

Questo argomento è una sfida a riflettere sulla ricerca continua nel bilanciare la cura e il rispetto della vita, in qualsiasi fase della malattia: quando “to cure” non è più possibile, “to care” diventa imprescindibile.L’auspicio è che, all’interno dei percorsi universitari, all’interno dei vari ambiti di cura e di assistenza del mondo, si possano implementare dei corsi di formazione/sensibilizzazione verso la tematica dell’appropriatezza e dell’umanizzazione delle cure, di lasciar andare sempre nel rispetto della vita umana e con gentilezza, perché la qualità della vita passata è tanto più alta, quanto è migliore la qualità di vita degli ultimi giorni.