Una vera e propria fuga da parte degli infermieri, anche da chi ha la certezza del tempo indeterminato e la poca attrattività della professione oggi.
Sono questi i due problemi che, uniti agli stipendi bassi rispetto alla media europea, stanno creando una vera e propria voragine di infermieri in Italia, altro che carenza.
Come nel resto d’Italia anche il Veneto inizia a dichiarare apertamente che tra qualche anno sarà veramente difficile reperire infermieri. Da qui al 2029 l’emergenza sarà allarmante: a fronte di 20 mila posti universitari (che non sembra verrano coperti) ci sarà bisogno di almeno 26 mila infermieri per le strutture pubbliche e private, con un deficit di almeno 6 mila infermieri. Questi dati, poi, non tengono conto dei licenziamenti e della fuga verso l’estero.
Il Nursing Up ha commentato questa situazione in un comunicato stampa in cui si legge: “I dati che ci ha fornito la Regione confermano la pesante carenza di infermieri che rischia di essere impossibile da sanare. Avere 20.000 posti di infermieristica nelle università del Veneto a fronte di 26.000 pensionamenti è un dato allarmante e, per di più sottostimato, visto che vanno considerate altre “criticità”: il gap di professionisti già esistente, l’anzianità degli attuali operatori in servizio (che hanno un’età media sopra i 50 anni), i pensionamenti e gli esodi, oltre ai fisiologici abbandoni degli iscritti all’università che oscillano tra il 10% e il 15% andando quindi ad assottigliare la previsione dei 20.000 nuovi infermieri in uscita dai corsi universitari nel prossimo quinquennio.
L’ammanco di almeno 6.000 infermieri da qui al 2029 impone di individuare delle strategie mirate ed efficaci per incentivare il più possibile la permanenza sul posto di lavoro degli infermieri già assunti, ma anche uno sforzo per aumentare l’appetibilità di questa professione tra i giovani.
Anche a questo dovevano servire gli oltre 6,5 milioni di euro previsti nell’accordo regionale sulle risorse statali. Questi fondi, da destinare al personale e all’abbattimento delle liste d’attesa, potevano essere un degno punto di partenza ma per molte aziende sanitarie sono stati invece un’occasione sprecata. Mi riferisco in particolar modo alle Ulss di Vicenza e di Verona che li hanno destinati quasi interamente alle liste d’attesa, dimenticandosi del restante personale”.