Una nuova indagine, realizzata da Nursing Up, che non fa altro che confermare, ancora una volta, quanto l’Italia stia vivendo un periodo di crisi in relazione alla professione infermieristica.
Una professione che è sempre meno attraente per i giovani che si affacciano al mondo universitario e che rischia di far tracollare la sanità italiana nei prossimi anni. Tutto ciò è confermato, nuovamente, dall’importante calo di iscritti al Corso di laurea per il secondo anno consecutivo.
“I turni massacranti, legati principalmente agli organici ridotti all’osso, l’escalation di aggressioni, diventate sempre più brutali e “lievitate” del 35% negli ultimi cinque anni ai danni dei professionisti dell’assistenza, e poi gli stipendi che ci collocano gli ultimi posti d’Europa, fermi al palo ormai da troppi anni, e non certo al passo con l’aumento del costo della vita: è questa la desolante realtà degli infermieri di casa nostra, oltre tutto ritenuti erroneamente, con i medici, i responsabili dei disagi e dei disservizi, simbolo di una fiducia, da parte della collettività, che più che mai si scioglie come neve al sole.
Come reagiscono i nostri adolescenti, i giovani tra i 15 e i 18 anni, che frequentano ancora le superiori, a questa pericolosa situazione che stanno vivendo le professioni sanitarie ex legge 43/2006, in primis quella di infermieri ed ostetriche?
Come si collocano i futuri studenti universitari rispetto alla possibilità di intraprendere una professione che ha perso così tanto terreno e che soprattutto evidenzia, negli ultimi anni, un picco così preoccupante, tristemente al ribasso, in termini di qualità del lavoro?
Ce lo racconta un’autorevole indagine tra i paesi Ue, “certificando” di fatto la notevole perdita di interesse dei ragazzi italiani, dei nostri studenti delle superiori, verso la professione infermieristica. La graduatoria, a livello continentale, offre dati lapidari: nel 2022 i giovani adolescenti di casa nostra sono alle prese con un tasso di interesse dello 0,8 verso la professione.
Potrebbe sembrare un dato poco significativo, ma non lo è affatto, rispetto a paesi come Norvegia, Olanda, Francia, che vanno da un 3,9 a un 3,1, e con la Germania saldamente al quarto posto con un 2.8.
La media europea dell’interesse degli studenti, tra i 15 e i 18 anni, verso la possibilità di intraprendere la professione infermieristica, è dell’1,7, nemmeno lontanamente sfiorata dall’Italia, che sta meglio rispetto solo a Lettonia, Ungheria, Polonia, Estonia e Lituania.
Come se non bastasse, ci sono le scarse prospettive di crescita a livello di carriera, in un Paese dove la politica sanitaria sta creando paradossalmente due pericolosi poli opposti, lontani anni luce tra loro: da un lato infermieri super qualificati che rischiano di trovare difficilmente una collocazione in un sistema sanitario che viaggia con il freno tirato, e che dopo la laurea base, la magistrale e magari un ulteriore master e un dottorato di ricerca, potrebbero essere legittimamente molto ambiti all’estero, arrivando a retribuzioni che da noi sono pura utopia.
Dall’altra ecco arrivare le figure surrogate, come l’assistente infermiere, che senza la necessaria e coeva valorizzazione e promozione delle professioni sanitarie, sono destinate a rappresentare un enorme passo indietro, capace di mettere a repentaglio la qualità dell’assistenza.
Nel mezzo c’è un mare fin troppo agitato, con una voragine di professionisti, quelli di cui abbiamo maggiore necessità, nel pubblico e nel territorio, che rischia di questo passo di diventare insanabile.
I grandi paesi europei dove, non è un caso, gli infermieri italiani sono maggiormente richiesti, ci superano tutti per media di interesse da parte degli studenti, dei futuri infermieri: Regno Unito, Svizzera, Spagna (risalita addirittura al quinto posto, a dimostrazione che le crisi si superano e come), Belgio e Lussemburgo, sono Paesi che stanno tutte meglio di noi come interesse dei giovani verso la professione, e quindi come concreta possibilità di poter contare su un solido ricambio generazionale.
Insomma l’Italia “arranca e si lecca le ferite”, a causa di di una politica sanitaria decisamente “dormiente”, che non investe abbastanza nei suoi professionisti. E così si apre la strada a tre pericolosi fattori.
1. Il netto calo di iscrizioni ai test di ammissione (-10,5% nel precedente anno accademico, -10% in quello appena iniziato) si traduce in un inevitabile calo di laureati.
2. Per la prima volta dal 2011, il numero dei laureati in Infermieristica è sceso sotto 10mila. Nel dettaglio, i laureati sono 11.436 sui 15.464 posti messi a bando, pari al 74%. Valore questo che è sceso dall’81% del 2013 al 69% del 2020 e al 67% del 2021.
3. Per non parlare poi di chi abbandona la professione volontariamente: la media, secondo la nostra indagine, è di 8mila dimissioni all’anno, ed è davvero allarmante, perché comprende, da un lato, coloro che lasciano nei primi due anni, e poi anche coloro che si dimettono coraggiosamente dal nostro SSN anche dopo 10 anni di professione, stanchi, logorati e il più delle volte, almeno 1 su 3, alle prese con lividi, contusioni o minacce. Ricordiamo infatti che il 42% dei nostri infermieri dichiara di avere subito almeno una volta una violenza, fisica o psicologica.
L’indagine rivela anche che la professione infermieristica continua a “essere decisamente donna”. Nell’80% dei casi sono le ragazze, più dei ragazzi, a prendere in considerazione la possibilità di abbracciare una realtà che, nonostante tutto, continua ad attrarre coloro che sentono il bisogno di indossare quel camice, per dedicare il proprio impegno lavorativo alla tutela della salute della collettività”.