In seguito all’approvazione dei nuovi indirizzi di laurea magistrale si è acceso un vero e proprio dibattito sulla possibilità da parte dell’infermiere di poter prescrivere ausili e presidi.
La prescrizione infermieristica è realtà da diversi anni in paesi europei e non e rappresenta un modello che funziona alla grande. Eppure in Italia i pareri sono molto discordanti. Ha parlato proprio di questo il Nursing Up in un recente comunicato stampa:
“Le recenti alzate di scudi di una parte del mondo medico, riguardo all’ipotesi della prescrizione infermieristica, esordisce Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up sono, a nostro modo di vedere, solo un assist a chi, a monte, vuole sviare l’attenzione dal problema reale.
Si signori, perché qui la questione, non è se avallare o meno la possibilità , per gli infermieri, di prescrivere presidi e ausili essenziali per l’assistenza, come dispositivi per incontinenza e stomie, perché si tratta di un’attività che in oltre dieci paesi europei è già una realtà ben consolidata, quindi, non esiste giustificazione per timori eccessivi o malintesi.
Si pensi che, in paesi come la Spagna, o in realtà come il Nord Europa, gli infermieri da tempo hanno la facoltà di prescrivere non solo presidi, ma anche farmaci selezionati, oltre a test diagnostici. E non parliamo certo solo di infermieri con laurea magistrale ad indirizzo clinico.
E’ di tutta evidenza che, gli infermieri italiani, con i loro elevati standard formativi, possiedono già ora le competenze per assumere tale tipo di responsabilità , seguono percorsi universitari complessi, che li abilitano ad identificare i bisogni assistenziali e a formulare diagnosi infermieristiche ai propri livelli di funzione, che sono poi il fondamento di un ampio alveo di conseguenti attività a ciò funzionali, ivi compresa la prescrizione di competenza.Â
Chi è dentro alla materia sa bene, che non esiste solo la diagnosi medica; la diagnosi infermieristica, riconosciuta scientificamente a livello internazionale, è altrettanto importante, poiché si occupa di definire i bisogni assistenziali del paziente, e di implementarne i trattamenti che il professionista ritiene necessari.
Ciò doverosamente premesso, bisogna ora precisare, che il tema della diagnosi infermieristica è sì importante in questo dibattito, ma non è certo il punto cruciale della questione, come invece qualcuno vuol far credere.
La vera problematica, precisa il leader del Nursing Up, è la pretesa di implementare le nuove lauree magistrali a indirizzo clinico, senza la coeva introduzione di doverose norme di accompagnamento. Tale scelta, è del tutto evidente, avrà un impatto negativo rispetto alla attesa valorizzazione degli infermieri di base e degli specialisti ex art.6 della legge n. 43/2006.
Siamo davvero davanti a una trasformazione storica, o piuttosto stiamo puntando su nuove figure specializzate, definite d’élite, senza affrontare concretamente le problematiche strutturali che da tempo affliggono il nostro sistema sanitario?
Considerando le priorità più urgenti, quelle legate ai reali bisogni della salute pubblica e dell’organizzazione della comunità infermieristica italiana, era davvero necessario, in un momento storico come quello attuale, oltretutto pochi giorni dopo l’introduzione della figura dell’Assistente Infermiere – contestata da molte voci professionali anche a livello internazionale – annunciare l’epocale creazione di nuove lauree magistrali infermieristiche, senza introdurre norme di accompagnamento, e senza consultare formalmente le parti sindacali coinvolte?
Non ci troviamo, invece, forse di fronte ad un provvedimento che è destinato ad avere un pericoloso effetto rebound? Senza una riforma contrattuale preventiva o parallela, quale sarà il futuro di queste nuove figure super specializzate?Â
Basterà , semplicemente, dare mandato agli Atenei di formare nuovi laureati magistrali ad indirizzo clinico se, sull’altro fronte, questi non sono stati ancora riconosciuti e valorizzati a livello contrattuale?Â
Si noti che, secondo le norme attuali, i laureati magistrali ad indirizzo clinico  non potranno trovare collocazione, se non andando ad occupare quei pochi posti a disposizione nell’area elevata qualificazione del CCNL sanità . Posti che, beninteso, si contano sulle dita di una mano.
Ma è giusto che questa tipologia di nuovi laureati magistrali debba collocarsi nell’area elevata qualificazione del comparto, quando invece dovrebbe trovare legittima destinazione nei contratti della dirigenza, accanto agli altri professionisti con la medesima laurea quinquennale?Â
Quanto è opportuno che il laureato magistrale infermiere di domani, debba nascere con una tara di questo tipo sulle spalle, che lo condannerà ad essere considerato “di serie b” rispetto ai colleghi laureati magistrali delle altre professioni, che invece occupano posizioni remunerative e valorizzate nei CCNL della dirigenza?.
E che ne sarà , senza una specifica norma di prima applicazione della riforma, dei quasi 300mila infermieri con laurea triennale che attualmente operano nel nostro SSN, fondamentali per l’assistenza quotidiana, ma spesso trascurati in termini di valorizzazione e riconoscimento?
E di quegli altri infermieri che, tra questi 300mila, hanno già ottenuto con grande impegno un Master di primo livello negli anni scorsi, senza però vederne benefici concreti sulla propria carriera, ne vogliamo parlare?
Da ultimo, ma non certo per importanza, qualcuno sa dirci per caso quali sono i progetti per i laureati magistrali di prima generazione? Cioè quelli che vengono formati “già oggi” dalle università  con l’aspirazione di ricoprire ruoli dirigenziali?Â
Saranno forse destinati a rimanere, anche loro, nella fin troppo ingolfata area di elevata qualificazione del contratto di comparto, anziché accedere a quello della dirigenza, come avviene per altri laureati magistrali?
In definitiva occorre rimboccarsi le maniche per riordinare questo panorama estremamente confuso, dove la professione infermieristica rischia di ritrovarsi stratificata, tra una elite fatta da pochi eletti, peraltro non riconosciuti ne’ valorizzati dai contratti, e chi si sentirà destinato a compiti di assistenza di basso profilo.Â
La figura dello specialista clinico è certo una novità importante, ma è evidente che sono stati sbagliati modi e tempi di realizzazione.Â
Sono necessarie norme di accompagnamento di tipo strutturale, serve concentrarsi su tutte le professionalità  dell’assistenza, su coloro che già ci sono, e che hanno dimostrato nei fatti di meritarla questa evoluzione; serve a ben poco  limitarsi solo a creare nuovi profili di laureati magistrali.
Insomma, senza un degno piano organizzativo, senza creare “terreno fertile”, nella sanità italiana di oggi, già in piena crisi, nessuna coltivazione, nemmeno la pianta più resistente alle intemperie, potrà attecchire. E questo vale per l’assistente infermiere, come per le lauree più avanzate, correndo il rischio, da una parte, di abbassare tremendamente la qualità con una scelta tappabuchi e low cost, e dall’altra di creare figure “super evolute” che potrebbero non trovare la collocazione che meritano.
È quindi fondamentale continuare il dibattito su tutte le tematiche in campo, garantendo una doverosa collaborazione tra le diverse istanze professionali che rappresentano, ai vari livelli, l’infermieristica in Italia. Questo per il bene prioritario dei pazienti”.